A bagno

Alluvioni, il 40% dei genovesi vive in aree pericolose. E lo scolmatore del Bisagno è ancora bloccato

I dati Ispra: un edificio su tre rischia di finire sott'acqua, il 75% delle aziende è in zone inondabili. Sulla principale opera per la messa in sicurezza pendono le decisioni della magistratura

Alluvione a Fegino, commercianti in ginocchio

Genova. Sono 228.617 i genovesi che vivono in un’area a rischio alluvione, pari al 39% della popolazione. Di questi 48.546 abitano in una zona a pericolosità elevata, in pratica la “fascia rossa” dei piani di bacino, dove è probabile che si verifichi almeno un’inondazione nell’arco di 50 anni. È la situazione certificata dall’ultimo rapporto Ispra sul dissesto idrogeologico in Italia sulla base dei dati forniti dalle Autorità di bacino distrettuali.

Una situazione che in realtà non è immutabile, perché la suddivisione del territorio in fasce di pericolosità dipende anche dalle opere di mitigazione. La nuova copertura della Foce, per esempio, ha permesso di declassare da “rossa” ad “gialla” la porzione di città da Brignole in giù. Così ha fatto lo scolmatore del Fereggiano, inaugurato nel 2019. E allo stesso scopo dovrebbe servire lo scolmatore del Bisagno, la galleria da 9,8 metri di diametro che dalla Sciorba convoglierà direttamente in mare 450 metri cubi d’acqua al secondo, portando gran parte della vallata in “fascia verde”, quella con tempi di ritorno delle alluvioni fino a 500 anni.

E oggi la “madre” delle opere per la messa in sicurezza di Genova, dopo avere già scontato diversi anni di ritardi, è pressoché bloccata. Come si può leggere sul sito dedicato, l’avanzamento dello scavo e del rivestimento di servizio è fermo da mesi al 5%, mentre gli scavi delle gallerie vere e proprie sono a zero. Le opere di regimazione idraulica del Bisagno risultano al 12%, le opere di sbocco a mare appena al 7%. Ufficialmente i lavori vanno avanti e gli stipendi per ora vengono pagati regolarmente. Sono una cinquantina gli edili impiegati direttamente dal consorzio, un centinaio considerando anche le ditte dell’indotto.

“Stiamo ancora aspettando la sentenza – ha confermato nelle scorse ore l’assessore regionale alla Protezione civile, Giacomo Giampedrone -. Il tema è l’interdittiva antimafia, prima scomparsa e poi ricomparsa. Il cantiere è in funzione, ma questo aspetto inibisce quasi tutte le attività. Poi ci sono anche difficoltà tecniche, ma i problemi giudiziari non consentono di organizzare nulla perché l’azienda non vuole programmare investimenti col rischio di dover fermare tutto”.

Ad aggiudicarsi il maxi appalto da 204 milioni era stato il consorzio ReseArch nell’aprile del 2020. A maggio era stato celebrato l’avvio dei lavori, ma dopo due anni le operazioni erano già in grave ritardo. Così è stata studiata e approvata una variante per cambiare la metodologia di scavo impiegando una Tbm scudata (tunnel boring machine, detta anche talpa meccanica), contenuta cioè in un grande cilindro che comprende anche i meccanismi di posa automatica dei grandi conci di calcestruzzo durante la fase di avanzamento. Il via libera della struttura commissariale guidata dal presidente ligure Giovanni Toti era arrivato nell’agosto del 2022. Ma la super talpa, se tutto andrà bene, non sarà operativa prima del prossimo autunno.

D’altra parte i guai veri sono iniziati un anno fa, quando la Prefettura di Salerno ha emesso un’interdittiva antimafia nei confronti del consorzio ReseArch, provocando l’immediata rescissione del contratto da parte della struttura commissariale. La società ha fatto ricorso al Tar e pochi mesi dopo ha ottenuto la sospensiva del provvedimento antimafia ma anche gli annullamenti dei contratti: via libera quindi alla ripresa dei lavori, pur in attesa della pronuncia nel merito che potrebbe anche ribaltare lo scenario. Nel frattempo il tribunale di Salerno ha rigettato con un decreto l’istanza di amministrazione controllata, contro cui Research ha presentato un nuovo appello: se questo dovesse essere respinto, il rischio concreto è quello di un nuovo stop.

Lo scolmatore del Bisagno metterà definitivamente in sicurezza la maggior parte dei quartieri che si affacciano sul torrente, ma sono ancora numerosi i rii “minori” in varie zone della città – quasi sempre nascosti sottoterra – pronti a esplodere in caso di forti piogge. Tra questi il rio Vernazza a Sturla, il rio Maltempo a Certosa, il Veilino a Staglieno, il Noce e il Rovare a San Fruttuoso, il Fegino nell’omonimo rione in Valpolcevera, solo per nominare alcuni dei più noti. Per disinnescarli sono previsti mini-scolmatori, canali, nuove coperture. Ma prima di aggiornare le mappe del rischio ci vorranno anni.

Nel frattempo i dati di Ispra parlano chiaro: l’11,3% del territorio comunale genovese (27 chilometri quadrati) è in area inondabile, il 2,7% nella fascia più pericolosa. Non è poco, considerando che la fascia urbanizzata è molto stretta e gran parte della superficie è occupata da montagne. A rischio alluvione complessivamente un edificio su tre (12.561 su 37.960), il 7,1% in “zona rossa”. Ancora più allarmanti i numeri relativi alle aziende: il 75,9% ha una sede che potrebbe finire sott’acqua, il 19,1% nelle aree più pericolose. Prendendo in considerazione i nuclei familiari anziché i singoli abitanti, il dato non cambia: il 40,2% vive in un luogo allagabile.

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