Genova. “Ricordo alcuni episodi di minacce con armi a mia mamma quando avevo 15 anni perché voleva separarsi. Dieci anni fa a Geminiano ricordo di avergli impedito di prendere la pistola”. Alessio Scalamadré nella notte di lunedì davanti al sostituto procuratore Francesco Cardona Albini ammette l’omicidio del padre Pasquale avvenuto alcune ore prima e ricostruire alcuni degli episodi di violenza che hanno caratterizzato tutta la vita della coppia a causa della gelosia dell’uomo. Aveva anche delle pistole per uso sportivo, il 62enne ex autista dell’Amt ucciso a colpi di mattarello dal figlio 28enne che ora si trova nel carcere di Marassi e la cui udienza di convalida è fissata per domani alle 10 in carcere davanti al gip Angela Nutini.
A gennaio dopo la denuncia da parte della mogli e del le armi gli erano state ritirate ma Pasquale Scalamandré “minacciava di uccidere mia madre anche scozzandola con il coltello” racconta Alessio, assistito dall’avvocato Luca Rinaldi. E proprio il fatto che il padre potesse avere un coltello è una delle principali preoccupazioni del ragazzo quando quella sera comincia a litigare con il padre. “Avevo anche paura che fosse armato perché era solito portarsi un coltello in macchina e un coltellino tascabile”.
Quando è arrivato quella sera, intorno alle 18.30 Scalamandré si è presentato con alcuni fogli: erano le copie delle denunce fatte da Alessio e dalla madre Laura Di Santo. “Mi indicava i punti che dovevo togliere – ha detto il 28enne agli inquirenti – in particolare diceva che non era vero che avesse utilizzato una pistola per le minacce, che avrei dovuto fare finta di non ricordare, che non era vero che lo avevo disarmato un paio di volte”
La lite è andata avanti per 10-15 minuti, racconta il figlio che dal padre che in un messaggio di quello stesso pomeriggio lo aveva definito “vigliacco” perché si rifiutava di andare in commissariato a Cornigliano a modificare la denuncia. “Poi ha cominciato a spintonarmi, a insultarmi con uno sguardo minaccioso che ho riconosciuto e mi ha dato anche uno schiaffo”. Alessio si difende spintonando a sua volta il padre e da lì la situazione degenera trasformandosi in rissa con suppellettili che vanno in frantumi e mobili che cadono tra cui la scarpiera su cui era posato il cacciavite una delle due armi utilizzate per l’omicidio.
E’ la prima arma con cui colpirà il padre, ma l’arma letale (anche se sarà l’autopsia a stabilirlo con certezza, l’incarico sarà affidato domani mattina dal pm Cardona) è il mattarello che Alessio lo sfila dalle mani del padre dopo che quest’ultimo lo aveva preso. “L’ho usato più volte il matterello per colpirlo in testa, sia quando era sul divano, sia quando era a terra”. “Non avevo assolutamente intenzione di ucciderlo, ho cercato di fermarlo per poter scappare” ha detto più volte.
“Ero terrorizzato per me, per mio fratello per mia madre”. Da questa paura secondo il suo racconto nasce la “furia di doverlo fermare in ogni modo, avevo paura che potesse prendere qualche arnese per ferirmi”. La situazione evidentemente sfugge di mano al ragazzo che quando il padre è a terra esamine di preoccupa di toglie i cocci di una statua a forma di cane: “Si è rotta mentre colluttavamo e mi sono preoccupato di togliere i cocci perché temevo che rialzandosi la potesse usare come arma”.
Il ragazzo è imputato di omicidio volontario pluriaggravato e si trova in carcere anche se domani il suo legale chiederà la custodia cautelare ai domiciliari.