Incertezze

Navi sotto attacco nel Mar Rosso, anche Msc sospende i passaggi a Suez: tremano i porti liguri

La stessa decisione è stata presa da Maersk, Cma Cgm e Hapag-Lloyd. Gli Usa preparano la risposta militare, ma nel frattempo cambiano rotte e esplodono i listini. Ecco gli scenari

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Genova. Msc Mediterranean Shipping Co, la più grande compagnia di spedizioni di container al mondo, ha annunciato in una nota di aver interrotto l’utilizzo del Canale di Suez dopo l’attacco a una delle sue navi avvenuto lo scorso venerdì e che ha colpito la portacontainer Msc Palatium III mentre transitava nel Mar Rosso. La nave ha riportato danni, ma non ci sono stati feriti.

La nave era stata noleggiata dal Gruppo Messina ed era diretta al porto saudita di Jeddah. A seguito dell’attacco, Msc ha deciso di dirottare le sue navi attraverso il Capo di Buona Speranza, l’estremità meridionale dell’Africa. Questa decisione è stata presa in seguito a simili annunci da parte di altre compagnie di navigazione, tra cui Maersk, Cma Cgm e Hapag-Lloyd.

L’attacco alla Msc Palatium III è stato rivendicato dai ribelli Houthi dello Yemen che da mesi hanno iniziato a prendere parte, anche se “da remoto”, al conflitto che sta infiammando ancora una volta il Medio Oriente e che in queste settimane vede l’invasione di terra dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, con decine di migliaia di vittime tra i civili. Una recrudescenza di un conflitto che va avanti da oltre 70 anni e che ha visto in questi mesi una escalation di violenza che di fatto ha destabilizzato tutta la regione. Mare compreso. Il gruppo armato opera per lo più nei presso dello stretto di Bab al Mandeb che controlla controlla l’accesso sud al mar Rosso e quindi a Suez. Uno dei luoghi di trasporto marittimo più strategici del mondo: vi passa circa il 12 per cento delle merci mondiali e circa il 30 per cento del traffico dei container. 

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L’interruzione dell’utilizzo del Canale di Suez da parte delle principali compagnie di navigazione avrà sicuramente un impatto sul commercio mondiale. Le prime conseguenze saranno sicuramente di carattere economico, con un inevitabile aumento dei costi del settore: la circumnavigazione del continente africano impone tempi di navigazione più lunghi di circa dieci giorni, vale a dire un aumento di circa il 30%, visto che il viaggio tra Shanghai e Genova oggi è di circa un mese. Ma non solo. Come sottolineato da Ignazio Messina in una intervista al Secolo XIX ad aumentare saranno anche i costi assicurativi, che andranno a ingrossare i costi di tutta la filiera, con il risultato di un aumento generale dei costi della merce.

Secondo Messina l’attuale situazione di incertezza potrebbe essere risolta con un intervento internazionale di sicurezza, con l’organizzazione di scorte militari ai convogli che possano funzionare da deterrente per attacchi di ogni sorta. Una opzione che però potrebbe richiedere tempo per diventare realtà, mentre il commercio globale continua a mutare ora dopo ora. La soluzione militare è al vaglio anche di Usa e dallo stesso Israele che nelle acque internazionali del Mar Rosso sono già presenti con navi militari. Il timore degli analisti è però quello che anche in questo caso si possa generare una escalation militare capace di destabilizzare ulteriormente tutta l’area, e, di conseguenza tutti gli equilibri geopolitici.

Tutte queste non sono buone notizie per i porti italiani, liguri in primis. Il blocco del canale avvenuto nel 2021 a seguito dell’incagliamento della mega portacontainer Ever Given, durato una settimana, aveva già messo in luce la fluidità della rete logistica mondiale e le sue criticità. Lo stop totale del passaggio aveva innescato l’immediato e inevitabile cambio di rotta di moltissime navi (altre erano rimaste in attesa sperando in uno sblocco in un periodo di tempo paragonabile alla circumnavigazione dell’Africa), con balzo dei costi del comparto e qualche criticità a terra per la riorganizzazione delle logistiche portuali. Una reazione repentina per pochi giorni di stop, con una emergenza rientrata poi altrettanto rapidamente.

L’interrogativo però oggi pende sul medio e lungo periodo, vale a dire sulle prospettive e gli assetti futuri del commercio globale. Se da un lato è improbabile che Suez possa essere escluso completamente dalle rotte mondiali (salvo una escalation militare senza precedenti, per la quale Suez non sarebbe certo il principale dei nostri problemi), sui porti della Liguria pendono alcune incertezze che potrebbero essere determinanti per il futuro dei nostri scali portuali. 

Come sottolinea Alessandro Laghezza, presidente degli spedizionieri spezzini, l’aumento delle incertezze potrebbe richiedere la necessità di avere a terra maggiori spazi per lo stoccaggio di contenitori, cosa che potrebbe favorire le portualità europee con maggiori aree destinate a questo ruolo. E come è noto i porti liguri, Genova su tutti, da sempre convivono proprio con questa problematica: i progetti di nuovi riempimenti in ambito portuale, come il tombamento delle banchine del porto a pettine di Sampierdarena e un mai confermato – ma sempre auspicato da parte dei grandi vettori commerciali – allargamento a ponente degli spazi portuali potrebbero essere una risposta. Una risposta che però troverebbe sicuramente la dura opposizione della cittadinanza, che ha già annunciato la mobilitazione di massa in caso di nuovi progetti di allargamento portuale.  E che, come il passato ci insegna, in caso di forzatura da parte della classi dirigente, ci potrebbe volere un tributo di tempo non in linea con i ritmi del commercio globale.

Quindi, oltre all’aumento dei costi della filiera e oltre al cambio di assetto strutturale che potrebbe essere richiesto ancora dalla logistica portuale, per i porti del Mediterraneo l’instabilità e l’insicurezza della rotta di Suez – se non arginata – potrebbe significare un passo indietro nel ranking del commercio mondiale. Con tutte le conseguenze del caso, prima fra tutte l’evanescenza degli investimenti fatti in questi anni in termini di denaro (soprattutto pubblico) e spazi vitali sottratti alle città, in virtù di un bilancio economico-territoraile che potrebbe non reggere più.

 

 

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