Conseguenze

Blocco di Suez, cosa rischia il porto di Genova: oltre il 40% dei container passa dal canale

A dicembre saltati 4 approdi di portacontainer, ma si teme l'effetto ingorgo. Alle stelle i costi di carburanti, noli e assicurazioni. Cosulich: "Nessun allarmismo, gli scaffali non rimarranno vuoti"

spinelli terminal container

Genova. Attraverso il canale di Suez passa oltre il 40% dei container e il 22% delle tonnellate complessive di merci in transito nel porto di Genova. Sta in questi numeri l’importanza della crisi militare in atto nel Mar Rosso, dove le forze americane e inglesi stanno rispondendo agli attacchi dei miliziani yemeniti Houthi sostenuti dall’Iran. L’ennesima situazione critica per il commercio internazionale che rischia di pesare non solo sui costi di trasporti e materie prime, ma anche sull’operatività stessa dei porti liguri e quindi sull’economia del territorio.

Di fatto le rotte via Suez con Middle East e Far East sono quelle principali per i nostri scali. Secondo i dati dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ligure Occidentale, per Genova questi traffici nel periodo gennaio-novembre hanno rappresentato circa 10 milioni di tonnellate su 45 milioni totali. In termini di contenitori, parliamo di circa un milione di Teu su 2,2 milioni. Basti pensare che attraverso il canale passano mediamente 19mila navi all’anno, circa 50 al giorno, e di queste oltre un quarto sono portacontainer. Un dato che riflette il contesto mondiale con numeri percentuali però più alti: a livello globale attraverso il canale egiziano è registrato il passaggio del 12 per cento delle merci mondiali e circa il 30 per cento del traffico dei container. 

Ad oggi tutte le principali compagnie di navigazione hanno deciso di dirottare le proprie navi su Capo di Buona Speranza, una manovra che costringe a circumnavigare l’Africa aggiungendo ben 10 giorni di navigazione. Per non parlare degli extra costi di bunkeraggio (l’approvvigionamento di carburante) fino a un milione di euro per ogni viaggio tra Asia e Nord Europa. Per arrivare a Genova i giorni supplementari sarebbero 15. Una scelta quasi obbligata se si vuole azzerare il rischio di attacchi a cose e persone, e che evita di pagare assicurazioni già volate alle stelle oltre al “pedaggio” del canale, che può valere fino a 400mila dollari a passaggio. In ogni caso, la scelta di evitare lo stretto del mar Rosso rischia di raddoppiare o addirittura triplicare i costi di trasporto delle merci. 

Il blocco di Suez “avrà un effetto sostanziale sui costi dei beni perché aumenteranno i noli, i costi dei combustibili e delle polizze assicurative – riflette Paolo Piacenza, commissario dell’Autorità portuale del Mar Ligure Occidentale -. Dal lato della puntualità dei servizi marittimi ci attendiamo, così come era successo anche nel periodo dell’emergenza Covid, momenti di forte congestionamento in banchina, con una conseguente riorganizzazione della logistica e del lavoro portuale, alternati invece a momenti di bassa operatività. Occorrerà essere in grado di gestire al meglio questa criticità per limitare il più possibile ripercussioni negative a lungo termine”.

Sono circa cinque i servizi settimanali che collegano Genova e Far East con navi con capacità compresa tra i 13mila e i 15mila Teu.
A dicembre si è registrato il mancato approdo di 4 navi portacontainer a causa dell’allungamento della rotta. Le navi al momento sono confermate ma si temono appunto, come già avvenuto nel caso Covid, fenomeni di congestione alternati a periodi di bassa operatività. Si tratta di un aspetto che va a sommarsi a una tendenza già in atto a causa della concentrazione di alcuni servizi da parte delle maggiori compagnie armatoriali.

Ma esiste davvero il rischio di trovarci gli scaffali vuoti o comunque senza alcuni prodotti? “La situazione è grave, ma eviterei allarmismi esagerati – risponde Augusto Cosulich, presidente e amministratore delegato dell’omonimo gruppo radicato a Genova e attivo in diversi settori dello shipping e della logistica -. In tempi brevi, un mese, al massimo due mesi, questa situazione dovrebbe essere risolta. Non è come la guerra in Ucraina, per intenderci. Sicuramente ci saranno disagi e perdite economiche, i dirottamenti causano un aumento di costi incredibile, i noli sono saliti e ci sarà anche un po’ di speculazione. Ma non credo alla mancanza di stock: i magazzini sono pieni dappertutto, dopo il Covid è sempre stato così in previsione di altre situazioni critiche”.

Gli effetti di più lungo periodo, insomma, sono incerti e dipendono da quanto verranno percepiti come permanenti i rischi per la navigazione attraverso Suez. Una possibile tendenza potrebbe essere un rafforzamento delle politiche di reshoring in Europa e nell’area del Mediterraneo – vale a dire il rientro di centri produttivi precedentemente delocalizzati all’estero – e la ristrutturazione dei traffici verso il ro-ro nell’ambito di una revisione complessiva, con meno toccate di navi di grandi dimensioni, concentrate all’imbocco del Mediterraneo, e redistribuzione via feeder, con navi di minori dimensioni, sui porti interni al bacino. Esattamente il contrario della direzione intrapresa dal porto di Genova, che sta lavorando – vedi la nuova diga – per ricevere le mega porta container. Altre modalità di trasporto (via ferrovia o miste) potrebbero essere sviluppate, ma al momento pare difficile stimarne tempi, costi e impatti.

Secondo le analisi di Palazzo San Giorgio, anche in uno scenario di crisi prolungata, il mercato interno del Nord Italia pare difficilmente aggredibile dai porti nord-europei che, viceversa, sarebbero favoriti nel mantenere l’attuale ruolo dominante sulle aree del centro Europa. In altre parole una regionalizzazione del peso dei porti liguri il cui sviluppo resterebbe entro i confini padani.

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