Recensione

Beatrice di Tenda, ovazioni per i cantanti alla prima dell’opera che mancava da 60 anni fotogallery

L'opera resta in scena sino a venerdì 22 marzo con tre repliche dopo la prima

beatrice di tenda teatro carlo felice

Genova. Mancava da Genova da ben 60 anni la Beatrice di Tenda di Vincenzo Bellini, penultimo titolo del compositore e che sin dal debutto non ebbe il successo di altre opere del catanese. Ieri sera il debutto al Teatro Carlo Felice (tre repliche sino a venerdì prossimo). E in effetti dal punto di vista musicale, la Beatrice di Tenda non è Bellini al meglio, e anche dal punto di vista drammaturgico occorre aspettare il secondo atto per avere quella scossa che rende memorabile il racconto di una storia. Tuttavia l’opera merita di essere vista perché la performance vocale dei cantanti è una gioia per chi ascolta. Le ovazioni finali per tutti a partire dall’Orombello di Francesco Demuro, per passare all’Agnese di Carmela Remigio, al Filippo di Mattia Olivieri e soprattutto alla Beatrice di Angela Meade lo dimostrano.

L’allestimento, una coproduzione fra Genova e la Fenice di Venezia, sarà poi in stagione nel teatro Veneto prossimamente. L’idea di riproporla è nata per omaggiare il 2024, anno di celebrazione della Genova nel Medioevo. Perché la storia, come abbiamo spiegato qui, è ambientata nel 1418 nel castello di Binasco e racconta una vicenda a metà tra amori non corrisposti e manovre politiche con il duca Filippo Maria Visconti che condanna a morte la moglie Beatrice per un presunto tradimento che in realtà non è mai avvenuto, su istigazione di Agnese del Maino, amante di Filippo, ma gelosa dell’interesse nei confronti di Beatrice di colui che in realtà ama, ossia Orombello. Durante il processo, Filippo pur pentito, decide ugualmente la condanna a morte per motivazioni politiche.

Quello che colpisce di Beatrice di Tenda è l’importanza del coro, che è sempre molto presente in scena e ha anche una funzione di raccordo con il racconto di alcuni retroscena che vengono, per scelta del librettista, appunto raccontati invece che mostrati. In questo caso quello del Teatro Carlo Felice se l’è cavata bene pur con qualche momento di squilibrio nel rapporto con la buca. La direzione di Riccardo Minasi ha privilegiato l’energia di alcune parti della partitura con, a volte, un eccesso di volume che ha sovrastato i cantanti.

I cantanti, appunto, chiamati a veri virtuosismi belcantistici a partire dal ruolo di Beatrice che Angela Meade ha affrontato con un cipiglio da campionessa quale è anche le note più ardite. Mattia Olivieri è un Filippo credibilissimo nel ruolo del “cattivo” della situazione, accompagnando anche con gesti e postura le fasi canore più complesse. Potenza controllata e timbro godibilissimo quello di Francesco Demuro, meravigliosa la parte cantata fuori scena. Carmela Remigio è una Agnese capace di slanci drammatici efficaci.

Qualche perplessità, tra il pubblico, l’ha invece fornita la scenografia di Emanuele Sinisi all’interno di una regia (Italo Nunziata), che intendeva evidenziare come le mura squarciate del castello, rappresentassero la decadenza del concetto di corte e di tutte le dinamiche contenute al suo interno. Una lettura che il pubblico probabilmente non ha gradito. La scenografia si muoveva solo attraverso pannelli che in parte si alzavano e si abbassavano e in parte venivano mossi da alcuni elementi del coro.
Le luci hanno evidenziato la cupezza dell’atmosfera.

 

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