Genova. Costruire una “diga-piattaforma, costituita da una piastra di 400 metri di larghezza addossata alla diga dalla parte verso terra, in una prima fase, davanti al bacino di Sampierdarena e Bettolo, in una seconda e terza fase davanti all’aeroporto e al porto di Pra’” con l’obiettivo di “ricollocare insediamenti a rischio o incompatibili con gli insediamenti urbani tra cui l’attuale aeroporto”.
È la proposta che gli ambientalisti genovesi, rappresentati da Andrea Agostini (Legambiente) e Giovanni Spalla (Italia Nostra), hanno presentato al dibattito pubblico sulla nuova diga del porto di Genova, la grande opera pensata per rendere accessibili le banchine alle navi portacontainer da 400 metri. L’intervento sarà discusso nel corso dell’ultimo incontro pubblico previsto per il 29 gennaio e focalizzato proprio sugli aspetti ambientali.
L’idea è quella di avere “un sistema lineare di dighe-piattaforma che definisca uno spazio acqueo continuo protetto da Voltri al porto di Levante“. Su questi nuovi spazi ottenuti di fronte all’attuale fronte del porto potrebbero trovare spazio, secondo i proponenti, le riparazioni navali, i depositi petroliferi, i futuri depositi di Gnl per le navi, il depuratore della città (previsto invece alla foce del Polcevera), l’aeroporto, il porto petroli, i depositi petroliferi costieri, le attività di Superba e Carmagnani e quelle della calata Oli Minerali.
“Contrariamente alle affermazioni contenute nei dossier, noi affermiamo che detto progetto di mega diga, cosi come proposto nella sua nuda struttura edilizia lineare, è funzionale agli interessi di un ristretto gruppo economico, non solo di imprenditori e terminalisti locali e nazionali, ma in larga prevalenza di imprese internazionali ben distanti dagli interessi economici, occupazionali ed ambientali della città – spiegano Agostini e Spalla -. Infatti, pur prevedendo anche un imbocco di 150 metri alla foce del Polcevera, serve per ora soprattutto il terminal di Bettolo e non arriva a coprire più del 60% dei bacini di Sampierdarena”, per cui “le grandi navi alte 60 metri e oltre possono accedere solo alle banchine che vanno da calata Bettolo a calata Massaua, che dovrebbero essere dotate di gru semoventi di carico e scarico dei contenitori”.
Il dubbio, già posto nel corso del dibattito pubblico, è che queste gru finiscano per interferire con il cono aereo e quindi col traffico aeroportuale. Da qui la suggestione di spostare anche la pista più al largo (anche se poi gli ambientalisti non chiariscono come verrebbe collegata alla terraferma).
L’obiettivo finale, sulla scorta di quanto già accaduto con il fronte mare del porto antico e progettato nel Waterfront di Levante, è “liberare e bonificare le aree a rischio per ridarle a funzioni urbane, una operazione indispensabile per una riqualificazione della città da attuarsi su criteri urbanistici, ambientali e sociali. La nostra finalità è ottenere un vantaggio evidente per tutta la città e non solo per poche imprese che convinca il governo a finanziarla nella sua onerosità a vantaggio di tutta la popolazione”, concludono Agostini e Spalla.