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Cancro dalla carne, Salumificio Chiesa: “Occorre indicare le sostanze sull’etichetta”

Le carni rosse lavorate sono finite tra i cancerogeni certi

Liguria. Sono finite sulla “graticola” non per ragioni culinarie, stavolta, ma per questioni legate alle possibili conseguenze sulla salute. Ieri l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione, massima autorità in materia di studio degli agenti cancerogeni che fa parte dell’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità), ha reso noti i dati relativi ad uno studio relativo al consumo di carne rossa e all’insorgenza di tumori.

Un team di 22 esperti provenienti da 10 paesi ha catalogato tra i cancerogeni certi le carni rosse lavorate, cioè quelle salate, essiccate, fermentate, affumicate, trattate con conservanti per migliorare il sapore o la conservazione. Gli studiosi hanno stabilito un legame con il tumore allo stomaco.

La carne rossa (per esempio manzo, maiale, vitello, agnello, montone, cavallo o capra) è stata invece inserita nella lista dei probabili carcinogeni per l’uomo. A conferma della ipotesi scientifica ci sarebbero i tanti casi di cancro al colon e di tumori al pancreas e alla prostata.

La notizia ha fatto immediatamente il giro del mondo. Se da un lato vegetariani, vegani e animalisti hanno fatto i salti di gioia, dall’altro gli onnivori hanno avuto reazioni diverse: c’è stato chi ha scrollato le spalle deciso a continuare con la propria dieta regolare e c’è stato chi ha manifestato qualche dubbio circa la bontà della propria alimentazione.

In mezzo ci sono le aziende che producono carni e insaccati. Come il Salumificio Chiesa di Finale, storico marchio savonese del settore. “Ci stanno massacrando – dice senza mezzi termini il responsabile commerciale Guido Ghiringhelli – Le normative europee che latitano e che secondo alcune associazioni non sono così precise non mettono l’accento su determinati problemi. Sappiamo che l’abuso di carne non fa bene (come anche il fumo, naturalmente), ma ci sono mille condizioni da prendere in considerazione. Sul discorso salumi, in particolare, una normativa stabilisce i limiti consentiti per l’impiego di nitriti e nitrati, sostanze che nel tempo si convertono in nitrosammine e che a lungo andare danno problemi al nostro organismo. Per alcuni prodotti questi limiti non sono consentiti, cioè non devono essere presenti. Ne sono due esempi il prosciutto di Parma e il San Daniele, che sono due prosciutti assolutamente ‘puliti’ in quanto la Dop prevede che gli unici ingredienti siano carne e sale insieme al tempo e alla pazienza per la produzione. Diverso è il discorso per tanti tipi di salumi. Tali limiti sono in deroga per alcuni prodotti che sembrano i più salubri e che sono indicati in tutte le diete”.

Per Ghiringhelli occorre parlare chiaro: “A livello europeo sarebbe interessante avere sull’etichetta dei prodotti indicazioni precise circa il contenuti di questi sali. I quali, non dimentichiamolo, tutelano anche la salute in quanto il loro impiego è legato alla necessità di abbattere batteri patogeni che possono essere dannosi. La carne ha un’origine animale e per essere consumata cruda, stagionata, ha bisogno di conservanti: a fare la differenza è la quantità di questa sostanza. In certi casi tra un prodotto e un prodotto concorrente c’è un rapporto di contenuti di uno a dieci. Quindi sono indicazioni che andrebbero precisate”.

Al di là di questi aspetti, resta il problema: le aziende che operano nel settore delle carni sono finite nel centro del mirino: “Sarebbe un campanilismo stupido cercare di proteggere una lobby che nemmeno esiste. Io credo che le indicazioni nutrizionali che adesso sono nel mirino e che devono essere evidenziate su tutte le confezioni (parliamo di grasso e di potere calorico) siano utili. Il vero danno creato da questi sali al momento della conversione è dovuto alla loro quantità. E’ utile un provvedimento che possa portare a far emergere un’informazione utile. Ma questa informazione va analizzata su vari livelli. Ad esempio, il limite massimo della somma di nitriti e nitrati è 150 milligrammi chilo, ma per alcuni prodotti ci sono le deroghe che porgano a 250 milligrammi: questa quantità è necessaria per fare entrare il sale nel cuore del prodotto. Un salame contiene meno nitriti e nitrati semplicemente perché è tagliato a cubetti e quindi durante la macinatura e la mescola questi sali vengono distribuiti più uniformemente rispetto a un prodotto intero. Ci sono dei distinguo da fare. La normativa andrebbe precisata per permettere ai consumatori di fare scelte consapevoli”.

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