Le nuove indagini

Omicidio Nada Cella, sul diario di Annalucia Cecere cerchiato in rosso l’anniversario del delitto

Dalle carte dell'inchiesta emerge fra l'altro come gli accertamenti sulle presunte pratiche 'sospette' del commercialista furono fatti in una manciata di ore

nada cella

Genova. Un accertamento durato solo tre soli giorni, per un paio di ore alla volta sfogliando i fascicoli sugli scaffali mentre nello stesso momento la polizia scientifica faceva i rilievi sul luogo del delitto. E’ così che si svolse, tra l’8 e il 10 maggio del 1996, due giorni dopo l’omicidio di Nada Cella la consulenza tecnica alla ricerca di pratiche eventualmente sospette dello studio del commercialista Marco Soracco all’epoca indagato per la morte della sua segretaria, avvenuta il 6 maggio del 1996.

Ad essere incaricato dell’accertamento da parte della Procura di Chiavari era stato l’allora presidente dell’Ordine dei commercialisti di Chiavari che ovviamente era amico di Soracco e all’epoca era poi stato indagato e successivamente archiviato per violazione di segreto d’ufficio. L’indagine era nata grazie a un’intercettazione di Soracco, indagato per l’omicidio di Nada, che in quei giorni aveva chiamato il commercialista per chiedergli informazioni e lui aveva risposto: “Non ne parliamo mica al telefono, ci vediamo all’Ordine dei commercialisti”. Il commercialista in questione è stato sentito nel dicembre del 2021 dalla pm Gabriella Dotto e aveva spiegato che non aveva potuto fare bene il suo lavoro proprio per i tempi ristrettissimi ammettendo che lui non voleva nemmeno occuparsi di questa questione “anche perché era il periodo in cui dovevo fare le dichiarazioni dei redditi” si è difeso parlando con il pm.

La persona sbagliata, quindi, e nemmeno messa nelle condizioni di poter svolgere bene il suo lavoro. Dalla consulenza non sarebbero emerse pratiche sospette, ma – sostengono gli investigatori – visto come è stata svolta non c’è da stupirsi. Per la Procura Nada invece qualcosa di non perfettamente lecito nell’attività del suo datore di lavoro lo aveva scoperto e proprio per questo voleva lasciare lo studio di Soracco. Forse quella mattina cercava di mettere insieme delle prove – si è parlato a lungo di un floppy disk mai trovato – ma quella mattina in ufficio è arrivata secondo la tesi dell’accusa Annalucia Cecere che l’ha aggredita e uccisa dopo un diverbio.

E’ plausibile secondo la ricostruzione degli investigatori che l’omicidio sia avvenuto quasi per caso, un delitto d’impeto per uno scatto di rabbia dell’assassina dovuto magari al fatto che Nada era stata incaricata di “tener lontano quella donna dallo studio”. Cecere infatti faceva di tutto per incontrare Soracco, che considerava un ottimo partito, ma questo forse non andava bene per Marisa Bucchioni che nella telefonata con la donna anonima (poi identificata dagli investigatori ma nel frattempo deceduta) che aveva raccontato di aver visto Cecere fuggire in motorino, aveva spiegato proprio questo, che alla segretaria era stato detto di tenere Cecere fuori dallo studio del figlio.

Nulla di tutto questo (né relativamente all’omicidio né relativamente a Soracco) compare nei diari di Annalucia Cecere. La Procura di Genova ne è entrata in possesso due anni fa con la riapertura delle indagini. E’ stata la stessa indagata, all’epoca sentita come persona informata sui fatti, a portarli a supporto della sua innocenza. Agli investigatori Cecere ha consegnato due diari, quello del 1996 e quello del 1997, prima e dopo l’omicidio di Nada. Per gli investigatori ci sono elementi utili che hanno fornito alcuni riscontri ma anche che hanno fatto emergere alcune divergenze tra quanto raccontato dalla presunta omicida circa i suoi spostamenti nei giorni e nelle settimane successive al delitto e quanto emerso appunto dai diari.

In questi diari, compilati minuziosamente e da cui emerge che la donna aveva grossi problemi economici, c’è solo un elemento che fa una certa impressione. Il 6 maggio 1997, cioè l’anniversario della morte di Nada Cella, è cerchiato in rosso: solo quella data in due anni di diario. Quando ha consegnato i diari lei ha spiegato che “ho conservato quei due anni apposta, per ogni evenienza”, visto che era stata indagata, seppur per soli tre giorni.

Incrociando diari, dichiarazioni della stessa Cecere e altri elementi investigativi, la Procura sembra certa che Annalucia Cecere, poco dopo il delitto, abbia avuto un’improvvisa e ampia disponibilità economica, lei che a Chiavari viveva in un appartamento che le aveva fornito la Curia.
Aveva una bella casa in centro, arredata in modo semplice, e da poco aveva un contratto di lavoro presso lo studio di un dentista. Ma improvvisamente e in fretta e furia decide di andarsene. Lei aveva spiegato di aver lasciato Chiavari per le dicerie legate al suo nome, ma ci sono elementi che non tornano. Cecere, praticamente indigente e ragazza madre, a un certo punto quando è ancora a Chiavari fa diversi acquisti, tra cui mobili nuovi e costosi e se li fa consegnare nell’appartamento in corso Dante, quello della Curia. Ma lei non c’è al momento della consegna, è come sparita e quei mobili saranno poi trasferiti in Piemonte, dove si era trasferita all’improvviso.

Chi le ha dato il denaro, si domanda la Procura? Anche su questo Cecere avrebbe risposto dicendo che aveva ereditato da una parente ma, avrebbe accertato la Procura, quell’eredità sarà effettivamente sul suo conto solo due anni dopo. Annalucia Cecere tuttavia, da quando ha saputo di essere indagata per l’omicidio di Nada, non ha più voluto farsi interrogare dalla Procura che proprio in questi giorni sta predispondendo la richiesta di rinvio a giudizio.

Due anni di indagini intense in cui sono stati raccolti infiniti elementi indiziari a carico suo e anche a carico di Marco Soracco e della Madre Marisa Bucchioni, che l’avrebbero sempre coperta per evitare che lei forse rivelasse qualcosa che non si voleva far sapere. Indagini tuttavia minate dal fatto che all’epoca l’inchiesta fu condotta male sia a livello di coordinamento tra le forze dell’ordine sia nella conduzione stessa delle indagini tra inquinamento della scena del crimine, reperti mal conservati. Per non citare il fatto che parte materiale, comprese alcune intercettazioni dell’epoca, andò perso nell’alluvione a Chiavari del 2014. Ma la Procura ha scelto di andare fino in fondo per provare a mettere la parola fine a un cold case durato quasi trent’anni e per tentare di dare una risposta a una madre, Silvana Smaniotto, che da allora cerca giustizia. Sarà il gip nei prossimi mesi a decidere se gli elementi raccolti saranno sufficienti per arrivare a un processo.

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