Il cold case

Delitto Nada Cella, così Anna Lucia Cecere tentò di depistare le indagini: “Telefonate persecutorie all’ex fidanzato”

Secondo i pm la donna, accusata di avere ucciso la segretaria 25enne la mattina del 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco, avrebbe cercato di convincere l'ex a sostenere che la relazione nel 1996 era ancora in piedi

nada cella

Genova. Un temperamento “oppressivo, ossessivo, gelosissimo”, e tentativi disperati di sviare le indagini, cercando di convincere l’ex fidanzato a sostenere che la loro relazione era andata avanti ben oltre il maggio del 1996. Sono questi i dettagli della personalità di Anna Lucia Cecere che emergono dalla richiesta di rinvio a giudizio del pm Gabriella Dotto. Cecere, oggi 55 anni, è accusata di avere commesso uno dei cold case più famosi d’Italia, quello di Nada Cella, la 25enne uccisa nello studio del commercialista Marco Soracco, in via Marsala a Chiavari, il 6 maggio del 1996.

L’udienza preliminare è stata fissata per il 25 febbraio. A Cecere, che all’epoca dei fatti aveva 28 anni, viene contestato il reato di omicidio volontario aggravato dai futili motivi, ed è considerata l’autrice materiale del delitto. Commesso, per gli inquirenti, per gelosia e voglia di rivalsa su Nada: la donna, sempre secondo la ricostruzione di chi ha ripreso in mano le indagini dopo 25 anni, voleva prendere il posto di Cella nella vita di Soracco, per cui nutriva un interesse sentimentale, diventando anche la sua segretaria. Anche Soracco e la madre di lui, Marisa Bacchioni, sono stati rinviati a giudizio, con l’accusa di falsa testimonianza e favoreggiamento. Per la procura coprirono Cecere, il primo per non essere coinvolto nel caso, la seconda per aiutare il figlio.

Il temperamento “disturbato” di Cecere emerge dalla testimonianza dell’uomo che l’ha frequentata a inizio anni ’90. Che agli inquirenti ha riferito di avere ricevuto una telefonata da parte di Cecere il 27 maggio 2023. La donna, ricostruiscono i pm su input dell’uomo, “ha ottenuto il suo numero con uno stratagemma e cioè fingendosi una collega di lavoro che studiava a Napoli con lui” e “mostra con lui un vero e proprio atteggiamento, di nuovo, persecutorio nel tentativo di indurlo a ricordare che allepoca dellomicidio ancora si stavano frequentando”.

Agli inquirenti l’uomo ha invece ribadito che la relazione “era senzaltro finita nel 1996”. I due parlano poi di bottoni, quei bottoni che costituiscono uno dei pilastri della tesi dell’accusa. Uno è stato trovato accanto alla testa di Nada, altri cinque a casa di Cecere durante una perquisizione. Per gli inquirenti sarebbero bottoni appartenuti a una giacca dell’ex fidanzato di Cecere, che la donna aveva avuto in consegna per un breve periodo per sistemarla, stringendo proprio i fili che tenevano attaccati i bottoni. Nella telefonata, la donna informa l’ex di avere a suo tempo riferito ai carabinieri che lavevano perquisita di avere buttato via la giacca, l’uomo invece afferma di essere certo di averla conservata e usata dopo quei fatti per molti anni, per andare a pescare.

Anche Marisa Bacchioni, intercettata, ha fornito alcuni elementi significativi sul comportamento e il temperamento di Cecere. In una telefonata a un’amica, nel 2021, la donna riferisce un episodio particolare, ovvero la telefonata che Cecere avrebbe fatto a un’amica di Soracco poche ore dopo l’omicidio per chiederle di intercedere con lui per ottenere il lavoro di Nada. Dell’interesse di Cecere per il commercialista, e per il posto di Cella, erano a conoscenza secondo gli inquirenti sia Marisa Bacchioni sia la sorella di lei e zia di Soracco, Fausta. Che dal 1996 al 2000 raccolse in un libro mai dato alle stampe e intitolato “Storia di un delitto quasi perfetto” alcuni appunti sul caso di Nada.

Il manoscritto è stato trovato a casa delle sorelle Bacchioni, e confermerebbe che Soracco e le sorelle Bacchioni avrebbero nascosto parecchie informazioni agli inquirenti. Come la conversazione con una vicina di casa, Liliana Lavagno, nel frattempo morta (anche Fausta Bacchioni è morta qualche anno fa), considerata una sorta di “portiera informale” dello stabile di via Marsala, che raccontò alle Bacchioni di avere visto, dalla finestra di casa, qualcuno fuggire in motorino alle 9 di mattina, subito dopo l’aggressione a Nada. Invitata a chiarire perché non ne avesse fatto parola, Lavagno si sarebbe giustificata sostenendo che avrebbe potuto subire ripercussioni, perché se quella persona si fosse girata “l’avrebbe vista”, e lei aveva “una madre novantenne da accudire”.

Questo, e molti altri dettagli, sono stati tralasciati dalle due sorelle in fase di interrogatorio, ma non sono sfuggiti alle intercettazioni: “Ma guarda quanto danno ci ha fatto quella donna lì”, diceva Bacchioni al figlio Marco nel 2021, nella fase iniziale della nuova indagine, mentre i due si trovano nella sala dattesa della polizia per la loro prima audizione. Il riferimento non è a Nada ma ad Anna Lucia Cecere, che Marisa Bacchioni ha sempre osteggiato (mentre sia lei sia la sorella sembravano invece “promuovere” Nada come compagna di Soracco). Uno sfogo preoccupato che per gli inquirenti “non solo conferma una conoscenza ben maggiore della persona (rispetto a quanto fatto credere), ma appare compatibile solo con una incontrovertibile consapevolezza di essere stati da lei ‘danneggiati’ in quanto nuovamente trascinati al centro della gravissima vicenda giudiziaria”. Da qui le accuse di falsa testimonianza e favoreggiamento, di cui dovranno rispondere in sede processuale.

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