Genova. “Il signor Bonavota? Non l’abbiamo mai visto, eppure sono vent’anni che abitiamo qua. Ieri ci siamo trovati i carabinieri nel palazzo e ci siamo chiesti cosa fosse successo. Poi abbiamo sentito il telegiornale e abbiamo capito”. Sono increduli gli abitanti di via Bologna, nel quartiere di San Teodoro, dopo l’arresto di Pasquale Bonavota, il super latitante della ‘ndrangheta trovato ieri dai carabinieri nella cattedrale di San Lorenzo a Genova.
Il “covo” del boss era all’interno 23 del civico 76, un palazzo come tanti altri a poche centinaia di metri da largo San Francesco da Paola. La porta dell’appartamento, situato al quarto piano, presenta i sigilli posti dai militari. “Come ci siamo sentiti? Ci siamo rimasti proprio male”, confessa una donna residente al piano inferiore. Tra i vicini del pianerottolo non troviamo nessuno che abbia voglia di parlare. “Mi hanno detto di non aprire a nessuno”, risponde un’anziana signora. “Mai visto in vita mia”, assicura il barista al piano terra del condominio.
Una presenza, quella del super ricercato originario di Sant’Onofrio in provincia di Vibo Valentia, che sembra non aver lasciato alcuna traccia nel quartiere. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Bonavota aveva preso casa in via Bologna sei mesi fa. A Genova abitava già la moglie, G.G., insegnante quarantenne residente a Sampierdarena, ma tra i due sembra che non ci fossero molti contatti. Pasquale in città poteva contare sull’appoggio di Onofrio Garcea, a lungo considerato uno dei più potenti riferimenti della ‘ndrangheta in Liguria attivo nel traffico di stupefacenti e nel riciclaggio.
L’affitto dell’appartamento era avvenuto tramite un’agenzia immobiliare della zona. Impossibile al momento risalire ai proprietari dell’abitazione, che negli ultimi anni è stata più volte in vendita prima di essere messa sul mercato delle locazioni. Bonavota girava con un falso documento d’identità, quello di un suo coetaneo originario dello stesso paese in Calabria. Nel suo appartamento i carabinieri del Ros hanno trovato dieci cellulari, un computer e diversi soldi in contanti.
La procura di Genova intanto valuta di aprire un’indagine sugli eventuali fiancheggiatori del boss che, al momento dell’arresto, aveva in tasca uno smartphone intestato a un’altra persona, un residente a Sant’Onofrio, in Calabria, e dei santini. Il procuratore capo di Genova Nicola Piacente. Nell’appartamento di San Teodoro, dove il boss stava da alcuni mesi, gli investigatori del nucleo e gli inquirenti stanno cercando di capire chi gli abbia fornito i documenti di identità, almeno quattro.