Il processo

Presunte estorsioni al Genoa, Roberto Anchini (4AnyJob): “Con la Sicurart rapporto totalmente fiduciario, non c’era nulla di scritto”

In aula due rappresentanti della società che forniva gli steward per le partite a cui, secondo l'accusa, la Sicurart avrebbe fatto false fatture

gradinata nord

Genova. Erano attesi l’ex presidente Enrico Preziosi e l’ex ad della società rossoblu Alessandro Zarbano in aula oggi nel processo per le presunte estorsioni al Genoa che vede imputati 15 ultrà, ma le loro deposizioni in aula sono state rinviate a gennaio. Troppo lunghe e tecniche le testimonianze che li hanno preceduti.

Al centro dell’udienza di oggi c’era infatti il rapporto tra la 4AnyJob, società retribuita dal Genoa per anni per la fornitura del servizio steward durante le partite, e la Sicurart, che reclutava il potenziale personale. Per l’accusa passava da qui il sistema di false fatturazioni che partiva dalla società rossoblù per arrivare a quella dell’ultrà Arthur Marashi di cui Massimo Leopizzi era socio occulto. Soldi che, stando alla tesi della procura di Genova, venivano versati in cambio della cosiddetta pace del tifo.

Sul banco dei testimoni questa mattina è arrivato Roberto Anchini, direttore tecnico di 4anyjob. 

Ha spiegato come funzionava il reclutamento e la formazione del personale steward e ha sottolineato come il ruolo della Sicurart fosse fondamentale per il reclutamento. “Avevamo grandi difficoltà a reclutare gli steward – ha spiegato Anchini – per la tipologia di lavoro non continuativo e anche perché a causa dei debiti delle società, soprattutto del Genoa, avevamo continui ritardi nei pagamenti degli stipendi”. Per Anchini però “la Sicurart era una garanzia perché ci portava personale più preparato al lavoro che doveva svolgere”.

Anchini però, ha dovuto ammettere, incalzato dal pm Giancarlo Vona (che supporta nella parte relativa alle questioni finanziare la collega Francesca Rombolà) ma anche dagli stessi giudici che il rapporto tra le due società era “completamente orale e fiduciario. Noi riconoscevamo un compenso alla Sicurart dandogli un gettone per la presenza di ogni suo lavoratore allo stadio e forse una parte per aver segnalato un tot di persone a partita”.

Ma come facevate a sapere che quei lavoratori erano segnalati dalla Sicurart? “Ce lo dicevano loro, oralmente”. Nulla di scritto quindi e sulla di preciso. 

E se per il tribunale sezione misure di prevenzione, nell’ordinanza con cui quest’estate ha rigettato il sequestro di beni nei confronti di Massimo Leopizzi, non si trattava di fatture false ma al limite fatte male, per la Procura non è così come ha voluto sottolineare il pm Vona questa mattina, con il presidente del collegio Cascini che ha però ribattuto: “Noi non siamo la sezione misure di prevenzione”, come dire: il processo è in corso proprio per accertare le responsabilità. 

La testimonianza di Anchini è stata comunque piuttosto tesa con la Procura che ha più volte sottolineato l’opacità tra le fatture emesse e l’effettivo servizio svolto da Sicurart e con il pm che ha minacciato il teste di indagarlo per falsa testimonianza dopo le numerose intercettazioni che gli sono state lette in aula. “Ma se voi pagavate alle Sicurart 15 euro di royalties per 85 persone per 40 partite, se non c’era scritto se questi steward erano arrivati dalla Sicurart come facevate a saperlo?” hanno insistito i magistrati. Ma niente, era tutto “sulla fiducia”.

In un’occasione Anchini è stato costretto a cambiare la versione fornita in aula per evitare guai. Il riferimento è a un’intercettazione ambientale  del 29 settembre 2017 dove Anchini, dopo che la 4AnyJob riceve un bonifico da 34mila euro dal Genoa, dice a Matteo Sanna (altro amministratore della società) di non pagare subito tutta la cifra alla Sicurart: “Non gli dare subito 34 senno si vede subito 34 girato 34

Sul punto Anchini ha a lungo detto altro, vale a dire che “era normale quando ricevevamo un pagamento non girate tutto subito a un fornitore ma trattenere qualcosa anche per gli altri oppure anche per i nostri stipendi”, ma incalzato da giudici e pm alla fine ha dovuto ammettere – come era emerso da altre intercettazioni – che lo ha fatto perché sapevano di essere sotto indagine da parte della Procura di Genova proprio per i rapporti con la Sicurart.

E in quell’occasione era stato proprio Massimo Leopizzi, in quanto appunto socio occulto della SicurArt a voler incontrare Anchini per chiedergli il denaro. Lo ha raccontagto il teste in aula: “Leopizzi è venuto da me perché la società era anche della sua fidanzata storica e mi ha chiesto i soldi dicendo che avevano dei debiti con la sua fidanzata. E se ti chiede i soldi Leopizzi, non è che lo fa in modo gentile”.

Dopo Anchini ha testimoniato in aula anche Armando Marcolini che si occupava dell’amministrazione della società. Entrambi erano stati indagati a loro volta per le false fatture ma la procura aveva poi chiesto l’archiviazione.

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