Genova. L’urgenza di avviare i lavori per il ripristino dell’autostrada, i dubbi sull’opportunità di affidarli al concessionario alla luce della gravità del crollo di Ponte Morandi, nonché dei primi risultati delle indagini amministrative in merito: queste in sintesi le motivazioni della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha respinto l’impugnazione della sentenza del Tar della Liguria sulla costituzionalità del “Decreto Genova”.
La pronuncia della Consulta si conclude con tre dichiarazioni di infondatezza e quattro di inammissibilità. Inammissibile, in particolare, è la questione che riguarda l’addebito ad Aspi dei costi della ricostruzione e degli espropri, poiché il Tar non ha chiarito a che titolo è stato effettuato l’addebito, se a titolo definitivo, oppure come anticipazione provvisoria, in attesa di eventuali accertamenti in merito alle eventuali responsabilità.
La sentenza spiega che l’estromissione di Aspi dalle attività di demolizione e ricostruzione del viadotto si è compiuta essenzialmente attraverso due passaggi: per prima cosa il legislatore ha previsto che, per tali attività, non fosse attivata la convenzione con Aspi e, dunque, che non fosse fatto valere l’obbligo di quest’ultima di fornire le prestazioni di demolizione e ricostruzione, nonostante Aspi ne avesse la volontà. In secondo luogo, si è precluso al commissario straordinario, incaricato di provvedere alla realizzazione dei lavori, di avviare una negoziazione con Aspi per l’affidamento dei lavori stessi.
La decisione aggirare la convenzione è dipesa quindi sia dall’urgenza di avviare i lavori per ripristinare il prima possibile un tratto autostradale fondamentale per la regione e il paese, sia dai dubbi evidenti generati dalla gravità del fatto, anche alla luce delle prime indagini emerse nelle prime settimane dopo il crollo.