Genova. Al Gaslini di Genova sono stati registrati almeno 5 casi in tre settimane di “Malattia di Kawasaki” e due di questi sono risultati positivi al coronavirus: la comunità pediatrica internazionale in allerta per possibili correlazioni con il Covid-19.
“Questa infezione, rara ma acuta, solitamente fa registrare 8 o 9 casi all’anno – ci spiega il professore Angelo Ravelli, professore ordinario e direttore della Clinica Pediatrica e Reumatologia dell’Istituto Giannina Gaslini – è una malattia nota dal 1967, e trattata con trasfusioni di immunoglobuline, che oltre a curarla, riducono dal 25 al 4% la frequenza di insorgenza della sua eventuale complicazione, cioè gli aneurismi coronarici”.
La Malattia di Kawasaki, ad oggi ha cause sconosciute, e si sono sempre ipotizzate origini infettive, ci spiega il professore: “Ma il fatto che dei nostri 5 casi, due avessero contratto il Covid-19, e altri provenissero da ambienti esposti all’epidemia, unito alle notizie che arrivano da Bergamo, dove i casi accertato sono stati una ventina, ha fatto scattare l’allerta per una possibile correlazione”.
Una correlazione che ha messo in allarme la comunità medica di tutto il mondo: “Le notizie che arrivano dal Regno Unito sembrerebbero confermare quanto rilevato da noi – spiega Ravelli – e infatti nei prossimi giorni parteciperemo ad una video conferenze internazionale per discutere di questi aspetti con i colleghi inglesi e statunitensi”.
Lo stesso Angelo Ravelli, che ricopre anche l’incarico di segretario del gruppo di studio di Reumatologia della Società italiana di pediatria, lo scorso 24 aprile ha inviato a tutti i pediatri italiani queste informazioni per “far partire una campagna di raccolta dati su questa malattia, per capirne eventuali sviluppi e casistiche”.
Scoprire e certificare una eventuale correlazione avrebbe un impatto importante per la cura e la eventuale prevenzione, potendo studiare l’efficacia di farmaci per il coronavirus. Ma c’è da preoccuparsi? Se fosse confermata la correlazione, la positività al Covid in un bambino, o il contatto con il virus, potrebbe essere un campanello d’allarme per andare a cercare e curare questa malattia, “che rimane una evenienza rara“.
Visto che ad oggi l’incidenza del coronavirus in ambito pediatrico è minima, se non marginale, queste notizie potrebbero destare preoccupazione: “Non bisogna però fare allarmismi – conclude Ravelli – per paura molte persone potrebbero decidere di non portare all’ospedale bambini eventualmente affetti da patologie potenzialmente anche gravi, tentando la via della cura domestica, ma sarebbe la scelta più sbagliata: l’invito ai genitori è quello di fare sempre riferimento al pediatra di famiglia e di decidere sotto suo consiglio se è necessario portare il bambino in ospedale o meno. “.