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Omicidio Nada Cella, il ricorso in appello della Procura contro il proscioglimento di Cecere: “Fatti travisati e ricostruzioni errate”

Nelle 82 pagine del ricorso la pm Gabriella Dotto rimette in fila indizi e prove raccolte: dall’alibi di Cecere (che non c’è) alle testimonianze svalutate dalla sentenza fino ai pezzi del motorino che furono sostituiti

nada cella

Genova. E’ stato depositato e notificato in queste ore agli avvocati degli imputati l’atto d’appello della pm Gabriella Dotto che ha presentato ricorso contro la sentenza di non luogo a procedere per l’omicidio di Nada Cella, la segretaria ammazzata a Chiavari il 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco.

Un appello di 82 pagine che sintetizza, oltre a diversi motivi di diritto, venti punti principali che ripropongono gli indizi e gli elementi di prova che ad avviso della Procura non sono stati correttamente valutati dal gip Angela Maria Nutini. Secondo la Procura la sentenza contiene diversi “travisamenti, ma anche implicitamente ripetute omissioni di valutazioni di temi e argomenti di fondamentale importanza” portate in udienza dall’accusa. Una sentenza che “ha svilito la complessità della vicenda” dice la pm. La gup ha emesso un “giudizio prognostico di inutilità del dibattimento che secondo la Procura però  “si fonda su erronee valutazioni delle prove, spesso considerate erroneamente meri sospetti, anziché indizi gravi o addirittura prove, e talvolta compromesse da ricostruzioni erronee, palesemente contraddette dagli elementi presenti in atti”. E così nel ricorso in appello la pm Gabriella Dotto “decostruisce” passo passo la sentenza riproponendo punto per punto, in modo dettagliato, i motivi su cui fonda la sua accusa nei confronti di Annalucia Cecere, imputata (e ora prosciolta dal gip) di omicidio aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi, e di Marco Soracco e della madre Marisa Bacchioni (accusati e anch’essi prosciolti) dall’accusa di favoreggiamento e di false dichiarazioni al pm.

L’alibi mai verificato nelle prime indagini

Tra i “travisamenti” dei fatti rilevati nella sentenza di non luogo a procedere per la Procura c’è sicuramente la questione dell’alibi di Annalucia Cecere che per i suoi difensori Giovanni Roffo e Gabriella Martini quella mattina  del 6 maggio 1996 era a lavorare a Santa margherita Ligure presso il dottor Paolo Pendula , che l’ aveva assunta a tempo indeterminato da qualche mese. Sul punto la sentenza dice che il dentista “recentemente risentito”, non era grado di ricordare se quel giorno del lontano 1996 Cecere fosse effettivamente arrivata al lavoro ma “è plausibile ritenere che quella verifica fosse stata fatta nel 1996 allorché venne archiviata” la posizione di Cecere. E visto che il fascicolo di archiviazione dell’attuale sospettata è andato perduto nell’alluvione del 2014, non si può verificare oltre. Ma non è così, spiega la Procura, perché è stata proprio la pm Dotto attraverso la squadra mobile, a identificare il datore di lavoro di Cecere e a sentirlo come testimone per la prima volta il 10 gennaio 2023. Nel 1996 non poteva quindi aver fornito nessun riscontro utile per archiviare la posizione  dell’indagata. E oggi ovviamente non ricorda, a distanza di tanti anni. Però, spiega la pm, il dentista sentito nelle nuove indagini ha detto delle cose importanti e in particolare che “in realtà che il lavoro aveva ad oggetto non le pulizie dello studio, ma quelle della abitazione e che per tale motivo l’orario di lavoro era decisamente flessibile, elastico, del tutto modificabile su iniziativa della dipendente e comunque in assenza del titolare , tanto che erano state fornite alla lavoratrice le chiavi di casa”.

Il racconto del carabiniere che indagò Cecere

Sono stati gli stessi carabinieri che indagarono Cecere all’epoca dopo la segnalazione di una sua vicina di casa e sequestrarono alcuni bottoni (simili, per la Procura identici, a quello trovato sul luogo del delitto) che hanno spiegato alla pm Dotto perché: “Insieme a un collega brigadiere – ha raccontato alla Procura il militare dell’Arma Giuseppe Marotta – in quei giorni andammo dal magistrato a chiedere di svolgere l’interrogatorio dell’indagata… ma ci disse di chiudere al più presto per non costituire una distrazione alle attività che in quel momento erano in una fase delicata, essendo prossima la definizione del caso”. Il sospettato principale infatti all’epoca era proprio il commercialista Marco Soracco (poi archiviato e re-indagato per i depistaggi nel nuovo filone, ma il gup anche per lui ha disposto il non luogo a procedere, ndr)” e l’indagine su Cecere venne chiusa in una manciata di giorni su ordine del pm Filippo Gebbia.

La vicina di casa di Cecere

Anche la testimonianza della vicina di casa di Cecere, che all’epoca non volle rilasciare dichiarazioni formali, è un elemento di prova per la Procura: la donna ha raccontato all’epoca informalmente ai militari dell’Arma e recentemente identificata e sentita come testimone dalla Procura, che Cecere aveva interesse per Soracco, che lei le aveva anche prestato un vestito per andare a ballare con lui e che la madre le aveva raccontato che Cecere aveva mire matrimoniali. Non solo la madre aveva raccontato alla testimone che Cecere le aveva riferito di essere andata in studio da Soracco forse per cercare lavoro e aveva incontrato Nada che “l’aveva trattata con superiorità e lanciato un’occhiataccia”. Per la gip tutto ciò sarebbe solo un “pregiudizio” della vicina nei confronti di Cecere. Ma questo racconto per la Procura ha invece valore probatorio. La vicina di casa – ricorda la pm – ha raccontato di aver parlato molte volte con la mendicante che le “aveva raccontato di aver visto la proprio la sua vicina di casa, sporca di sangue nei pressi del luogo dell’omicidio e in particolare di conoscere bene quella ragazza che sapeva chiamarsi Anna e che sapeva essere la sua vicina di casa in corso Dante”

I pezzi del motorino cambiati

La gup Nutini ha sottolineato nella sentenza di non luogo a procedere che sul motorino usato da Cecere all’epoca e sequestrato solo due anni fa nel corso delle nuove indagini , non sono state rilevate tracce di sangue: sarebbe il motorino su cui secondo un testimone una donna era fuggita quella mattina da via Marsala a Chiavari, dopo che “sporca di sangue”, aveva messo sotto il sellino “tutto quello che aveva in mano”. ll mezzo non fu sequestrato nel ’96 ma Cecere lo ha conservato e gli investigatori lo hanno sequestrato nell’autunno 2022 a Boves, in provincia di Cuneo, dove l’ex maestra si è trasferita da tempo. 

Una perizia fatta svolgere dal pm Gabriella Dotto da personale specializzato della poliziia stradale e depositata il 19 dicembre 2022 ha dimostrato che del modello originario erano sopravvissuti di fatto “soltanto il motore” e alcuni pezzi meccanici. Le parti “in plastica” sono state invece tutte sostituite con parti “probabilmente comprate al mercato dell’usato” già sul finire degli anni novanta. Nella  relazione è evidenziato inoltre come “dall’anno 1995 non risulta mai essere stato coinvolto in sinistri stradali così come non risulta mai essere stata coinvolta la sua proprietaria Cecere”. Elementi che la gup non ha considerato nelle 44 pagine di sentenza.

La testimonianza reticente della portinaia

Secondo l’accusa la portinaia del palazzo dove fu uccisa Nada nascose diverse informazioni agli investigatori ,probabilmente per paura ,ma molte cose le disse fin dai primi giorni alla sua amica Marisa Bacchioni e alla sorella di lei Fausta (la zia di Soracco) che per anni non le rivelarono agli investigatori. La portinaia raccontò a Bacchioni che sentì colpi alle pareti provenire dallo studio del commercialista e poi urla e  di aver sentito sbattere la porta e di aver percepito una persona scappare dalle scale. E alla domanda della madre di Soracco se non si era affacciata per vedere chi era lei rispose: “e se quella persona con il motorino avesse guardato all’insù mi avrebbe vista….” .  Per l’accusa, che cita molti elementi a sostegno ,”appare inequivocabilmente dimostrato che all’epoca delle prime indagini Bacchioni e Soracco sapevano della esistenza di una testimone oculare in grado di indirizzare le indagini sulla Cecere (e sul suo motorino), ma -incredibilmente-  scrive la pm – hanno preferito tacere la preziosa informazione agli inquirenti, per rivelarla invece alla stampa soltanto dopo la ritenuta inutilizzabilità processuale della relativa testimonianza (dato il decesso della testimone oculare)”. 

Soracco non “rientrò” nello studio

Secondo la pm è errata la ricostruzione della gip che riprende una testimonianza dell’epoca di un soccorritore a cui Soracco avrebbe detto di essere “rientrato” in ufficio, come a dire che era già stato in ufficio prima dell’omicidio e quindi era stato lui ad accendere il pc alle 7.50.  “La anomala espressione non è certo sfuggita agli attuali investigatori – dice Dotto – e neppure ai  primi, i quali hanno ritenuto di dover approfondire la questione immediatamente dopo, dovendo constatare l’impossibilità di attribuire alla frase un significato davvero rilevante per la ricostruzione dei fatti (“preciso di non saper affermare con certezza le parole usate dal commercialista”)”. L’elemento è importante perché rappresenta uno dei punti su cui Nutini in sentenza prova a ipotizzare una ricostruzione alternativa dell’omicidio e quindi un movente alternativo: quello cioè legato al fatto che Nada avrebbe scoperto un segreto legato all’attività del commercialista Soracco (in questo articolo la ricostruzione fatta dalla giudice in sentenza). 

Nessun movente ‘alternativo’

“L’errore come detto è stato quello di considerare tale scoperta (di cui gli sforzi investigativi attuali non hanno consentito di accertarne il contenuto) come movente dell’omicidio, senza cogliere il diverso significato prospettato” scrive l’accusa. Il movente prospettato dalla gip, vale a dire la necessità di liberarsi dal rischio che Nada svelasse il suo segreto “implicherebbe un omicidio premeditato, del tutto incompatibile con le modalità di esecuzione ma anche con il luogo e il tempo di esecuzione : è del tutto irragionevole pensare che il commercialista abbia potuto programmare l’uccisione nel suo studio in orario di imminente apertura al pubblico”. E anche l’ipotesi che Soracco abbia agito d’impeto “contrasta completamente, come visto, con l’indole pacatissima dell’uomo e anche con la sua stessa chiamata al numero di emergenza della Polizia 113 mentre la vittima era ancora viva, esponendosi di fatto a rischi gravissimi”. Soracco, la procura lo ribadisce con estrema certezza, non è l’assassino di Nada Cella (delitto dal quale è stato prosciolto all’epoca dei fatti dopo lunghe indagini)

Soracco ha visto Cecere e ha taciuto per non essere accusato

Per la pm però “certamente Soracco fu presente alla aggressione (come anche ritenuto in sentenza) o quantomeno sopraggiunse, interrompendo l’azione criminosa e inducendo l’aggressore a scappare”. Fu la consapevolezza di poter essere messo a confronto con l’aggressore -essendo in effetti, loro due, le uniche persone presenti sul posto- e da questa magari accusato (cosa che è avvenuta in effetti oggi, dopo la riapertura delle indagini) ad aver indotto il Soracco al silenzio. Quindi per Dotto, il fatto che Nada avesse confidato allo zio di volersene andare da quello studio perché aveva visto cose che non le piacevano, fu una ragione in più affinché lui e i suoi famigliari evitassero di fornire informazioni su Cecere.

Il movente di Cecere per la pm resta chiaro: le mire matrimoniali e lavorative che secondo l’accusa emergono da molteplici testimonianze e intercettazioni tra cui quelle degli indagati Soracco e Bacchioni con conoscenti e con persone rimaste anonime, tra cui la famosa quanto mai identificata “signorina”. “Il movente dell’omicidio -dice la pm – non riposa affatto in singoli fatti concreti, ma nella mente dell’ indagata -persona instabile rabbiosa e aggressiva- nella quale Nada si è posta come ostacolo alla sua possibilità di riscatto familiare e sociale e professionale”.

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