La rubrica del camallo

Triora, tra streghe e Ande

"La rubrica del camallo", a cura di Luca e Valentina, è volta alla promozione e alla riscoperta del patrimonio naturale e culturale della Liguria

Generico dicembre 2021

Ci apprestiamo quest’oggi a raccontarvi parte del nostro itinerario nel comprensorio Molini di Triora – Triora, in un freddo dicembre innevato.

Superato l’emporio che vende prodotti tipici locali, ci incontriamo con il sindaco Massimo Di Fazio e il suo vice, Giovanni detto “Gianni” Nicosia, per presentargli il nostro progetto e per continuare con loro il nostro percorso.

Sarà proprio l’emporio “La Strega di Triora” la nostra prima tappa alla scoperta del paese. Conosciamo Luana che, insieme al marito Augusto e la sorella Leila, conduce l’attività dal lontano 1986. Un negozio dal sapore rustico, accogliente e davvero molto invitante.

Generico dicembre 2021

Famoso per le confetture di loro produzione tra le quali assaggiamo una marmellata di mela tipo Carla con noci e cannella ed una crema golosa extra di castagne con cioccolato fondente e nocciole, annovera moltissimi prodotti locali. Tra i formaggi, oltre al brus, ritroviamo con piacere anche le tome di capra del caseificio Schenardi di Rezzo, ormai nostri amici!

Una particolarità che ci colpisce è un dolcetto rotondo che ricorda molto il torrone e chiediamo di più. Prodotto da Augusto secondo una ricetta che si tramanda da secoli, la Cubaita è sostanzialmente un dolce composto da due ostie fatte con poca farina, acqua e albume, farcite con un croccante di nocciole, mandorle e noci.

Un luogo questo davvero adatto ai più golosi e potete acquistare alcuni dei loro prodotti sul loro shop online www.lastregaditriora.shop/. Salutiamo Luana e attraversiamo la strada per dirigerci il forno dove si prepara ormai da 60 anni l’eccellenza locale, il pane di Triora; ad attenderci la signora Asplanato Ornella. Nel secondo dopoguerra, rifacendosi ad antiche ricette tramandate oralmente, il padre Angiolino, panettiere del paese, decise di avviare nuovamente la produzione di una pagnotta che potesse durare diversi giorni, come era usanza fare quando i pastori la portavano con loro mentre accompagnavano le loro bestie sulle malghe.

Gli ingredienti necessari alla panificazione sono gli stessi di allora e, in particolare, si continua ad utilizzare la farina di grano tenero tipo 1. Oltre alla farina tipo 1, che contribuisce a rendere dorato il colore della pagnotta, il Pane di Triora viene preparato con lievito di birra, sale, uno spolvero di crusca su cui viene adagiato l’impasto prima della cottura e l’immancabile acqua che sorge non molto lontano dal forno. Oltre a questo “principe” che è annoverato tra i 37 pani italiani, in laboratorio si trovano anche il pane multicereali, grissini, pane d’orzo e biscotti. 

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Sgranocchiando un paio di grissini ci rimettiamo in marcia con Gianni e ci dirigiamo in centro al paese; passiamo davanti al comune e percorriamo nuovamente Corso Italia fino a ritrovarci sotto ad un porticato; l’edificio, un tempo adibito ad Ospedale, oggi è una RSA.

Sul lato opposto del palazzo ecco presentarsi a noi il Museo Etnografico e della Stregoneria, che espone numerosi attrezzi di lavoro tradizionali relativi al ciclo della castagna, del latte, del vino e della mietitura del grano.

L’entrata costa solo 2,00 € ma con il vicesindaco per noi è gratuita! Con noi il responsabile del museo, Giovanni Nicosia, con il quale ci scambiamo un paio di libri, la nostra rivista per un bel volume sul museo!

La sezione più insolita che ci apprestiamo a visitare si trova nell’interrato (e dove sennò?) ovvero quella dedicata alla stregoneria. Numerose copie di documenti e degli strumenti di tortura dell’epoca rievocano la spaventosa storia delle streghe di Triora e del processo che sconvolse il borgo nella seconda metà del Cinquecento.

Verso la fine dell’estate del 1587, durante una carestia che aveva duramente provato la popolazione triorese e che durava da oltre due anni, gli abitanti cominciarono a sospettare che a provocare la carestia che stava flagellando le campagne del paese fossero state alcune donne dimoranti presso la località Ca de Boetti (Cabotina poi). Dopo essere state individuate, le streghe trioresi vennero subito additate alla giustizia. 

Generico dicembre 2021

Il parlamento generale fece in modo che le donne inquisite venissero sottoposte a un regolare processo. Dopo una serie di interrogatori vennero individuate quasi duecento donne del paese, tutte appartenenti alle classi più povere, sospettate di stregoneria. L’elemento che scaturì le accuse relativo a queste donne, era la capacità di curare malanni e ferite grazie all’impiego delle erbe spontanee locali, tramite infusi e creme. Successivi interrogatori coinvolsero persino mogli di notabili locali, intoccabili per la loro posizione sociale, per cui un forte contrasto tra la chiesa e le casate benestanti pose fine alla ferrata inquisizione. Nel museo molte sono le copie degli atti che testimoniano questi lunghi anni di terrore. A reale testimonianza di quanto sopra riportato, in paese vive ancora l’ultima Basura, la signora Antonietta di 93 anni, che ci aspetta per raccontarci la sua esperienza.

Nel frattempo, usciti dal museo, proseguiamo per via Roma, superando la piazzetta col bronzeo monumento alla strega; passiamo davanti ad un paio di locali, tra cui il ristorante “L’erba Gatta” sino a soffermarci nella piazza del mercato per riassaporare la vita che si svolgeva qui in antichità.

Scendiamo a destra e sbocchiamo nel piazzale dove sorge la chiesa di Santa Maria Assunta costruita nel 1200 su di un “fanum” pagano e l’oratorio di San Giovanni Battista del 1694. Al centro della piazza lo stemma di Triora, un cerbero a tre teste, il simbolo che risale al 1750 raffigura il celebre cane che secondo la mitologia greca protegge le porte dell’inferno. Una scelta molto forte per questo paese, che già si doveva preoccupare del problema relativo alle streghe, e proprio con loro vi è un forte legame simbolico, Cerbero era il cane della dea Ecate, signora della magia e degli incroci ed era la potente divinità dell’oscurità, regnava sui

demoni malvagi, sulla notte, la luna, i fantasmi, i morti. Era invocata da chi praticava la magia nera. Una scelta quindi probabilmente avvolta dal mistero.

Scendiamo lungo la rampa a lato dell’oratorio per via Camurata, su cui si susseguono molteplici portali in pietra nera. Ci inoltriamo poi nel quartiere Samburghea, Scopriamo innumerevoli vicoletti fino a raggiungere un portone contornato dalla presenza di moltissime piante, officinali e non.

E’ questa la dimora della signora Antonietta, di cui vi abbiamo accennato prima. Gianni, che la conosce bene, suona il suo campanello e attendiamo ci venga ad aprire. Inutile dirvi quanto ci sentiamo fortunati a poter scambiare con lei qualche parola.

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Antonietta si affaccia tardi al mondo delle erbe, aveva pressappoco trent’anni quando apprende parte del suo sapere proprio dal padre, che era profondo conoscitore dei boschi dei dintorni di Triora. Com’è risaputo la Valle Argentina, insieme alla Valle Arroscia, è una terra particolarmente incline alla nascita di molteplici varietà di erbe spontanee, ed Antonietta lo sa bene questo. Nella sua casa custodisce gelosamente molti cestini di vimini contenenti svariate qualità di erbe secche e alcune ampolle con olii e infusi, tutti specificatamente indicati per curare malanni, ferite e acciacchi; bollire rosmarino può cicatrizzare ferite e piaghe, l’olio di ipperico filtrato contro bruciature e punture di insetto, infusi di camomilla di montagna contro il mal di testa e via discorrendo…tutto questo annotato in un prezioso taccuino rigorosamente scritto a mano. Antonietta è di una lucidità splendida e rimpiange i tempi in cui poteva andar per boschi a raccogliere le sue amate erbe, l’età però non le impedisce di continuare a diffondere il suo sapere e ad aiutare, chi ancora oggi, si rivolge a lei per un aiuto.

In tempi antichi non si usava molto recarsi dal medico per curarsi, tra l’altro in alcuni paesi d’entroterra come questo, il medico nemmeno c’era, e la medicina tradizionale era poco diffusa. Qui la gente si è sempre curata con ciò che la natura aveva da offrire, ci racconta con gli occhi nostalgici. Oltre a lei, spiega, c’erano anche altre donne che avevano qualcosa di diverso…un potere in più, un sapere formato proprio sul campo. Venivano chiamate le “magistrae herbarum”, le signore delle erbe alle quali tutti si rivolgevano in caso di bisogno, anche nei momenti più delicati come le nascite. Antonietta è oggi l’ultima erede di quella generazione di contadine erboriste, o di maghe bianche, che forse ha dato origine alle credenze popolari locali. Una strega a tutti gli effetti insomma che se fosse vissuta ai tempi dell’inquisizione, avrebbe subito le orrende torture di cui oggi possiamo solo, per fortuna, leggere nei documenti giunti sino a noi.

Tornati sui nostri passi fino alla piazza della chiesa attraversiamo l’arco alla nostra sinistra e ci dirigiamo poi a destra in direzione “Cabotina” dove si narra che nelle notti di luna piena si radunassero le streghe a folleggiare con Satana.

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Più che un singolo casolare, si tratta di un vero e proprio piccolo quartiere periferico al di là delle mura. Qui vivevano donne ai margini della vita sociale, sovente si trattava di donne anziane provenienti dalle zone rurali circostanti, dai pascoli o addirittura direttamente dai boschi. Apprendiamo che il paradosso è che il loro “potere” definito “magia” da probabili miscredenti, era prevalentemente legato a pratiche benefiche.

Testimoni di un tempo associarono la stregoneria a queste pratiche perchè spesso, chi praticava i rituali, accompagnava i loro gesti con preghiere e invocazioni mixando cristianesimo e paganesimo. Ci volle poco quindi ad additare queste insolite guaritrici etichettandole come streghe, soprattutto perché la Chiesa non vedeva di buon occhio le loro pratiche.

Gianni ci racconta che i primi rastrellamenti avvennero proprio qui e, sempre da qui, iniziarono le confessioni estorte con la tortura. Una delle tante leggende popolari narra che le streghe giocavano a palla con i bambini rapiti alle madri, tirandoli dalla Cabotina di Triora alle colleghe di Andagna, Corte e Molini; il panorama da qui rende tutto più suggestivo e macabro allo stesso tempo ma è il contorno esatto per apprendere che più che di mito (o leggenda) qui si parla di storia vera.

Lasciatoci alle spalle questo luogo rientriamo in paese per salutare Gianni e per proseguire la nostra giornata che sì, non è ancora finita.

Poco al di sopra del nucleo abitato di Triora, da sempre terra natia della pecora Brigasca, andiamo a conoscere Christian Lanteri che ci aspetta per farci conoscere il suo atipico allevamento. Avrete capito che non parleremo di pecore, nemmeno di mucche o asini, bensì ecco a voi il principe delle Ande, l’alpaca!

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Abituato a vivere nei freddi territori del Perù, questo animale trova nelle erte creste della valle Argentina un habitat ideale. A portare sin qui, quasi a causa di un episodio sfortunato, i primi sei esemplari che conosceremo è appunto il signor Christian Lanteri, un ex insegnante di italiano nel principato di Monaco che ha deciso di avviare un piccolo allevamento .

Una novità per la zona di cui Christian va molto fiero, i suoi alpaca sono animali molto tranquilli e incredibilmente silenziosi, bastano pochi istanti in loro compagnia per essere avvolti da un’intensa sensazione di pace. Si presentano a noi molto curiosi ma diffidenti allo stesso tempo.

Amano pascolare tra i numerosi terrazzamenti recuperati dall’invasione di rovi e sterpaglie. Una zona assolata ma non troppo calda si presenta come l’habitat ideale per gestire al meglio l’allevamento.

L’idea di fondo di Christian era quella di aprire un allevamento di pecore chachemire ma un piccolo incidente di percorso gli ha fatto conoscere questi simpatici animali ai quali si è subito affezionato; da qui il progetto di creare delle passeggiate in compagnia dei suoi alpaca nel territorio di Triora e di farne conoscere le varietà della pregiatissima lana, un’attività di pet therapy che esplora in modo concreto le infinite possibilità del nostro territorio, a partire dalla primavera 2022. Tra gli alpaca si annovera anche uno splendido lama nero con le orecchie bianche, sembra quasi uno stravagante esemplare travestito da coniglio, davvero buffo.

Forse un’idea stravagante quella di Christian, ma che noi sposiamo in pieno! E’ ora di pranzo e noi ci sediamo al sole a gustare il nostro panino farcito di toma di pecora brigasca e vi rimandiamo al nostro progetto Parchi Liguri per l’itinerario completo.

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