Il processo

Ponte Morandi, i consulenti: “Crollo causato da un pasticcio nella costruzione”. E chiedono  nuove “prove di carico sui reperti”

Il viadotto secondo la consulenza di parte non era a rischio sicurezza ma è crollato a causa di un difetto di costruzione localizzato e sconosciuto a chi si occupava di manutenzione

ponte morandi crollato, incidente probatorio

Genova. Il ponte Morandi, per gli esperti di Spea “è crollato per la rottura dei trefoli dei cavi primari in sommità del tirante lato Sud lato Genova di Pila 9, conseguenza di un elevatissimo livello di corrosione, con la perdita del 45% della sezione”. Un livello di corrosione “anomalo” provocato da errori di costruzione “occultati” anche da chi si occupò di eseguire e seguire quei lavori. Lo hanno ribadito questa mattina, nel processo in corso per il crollo del viadotto, i consulenti degli imputati ex dipendenti di Spea Paolo Riva, Giovanni Ferro e Roberto Roberti.

 Un livello di corrosione “assolutamente anomalo (rispetto sia al resto dei tiranti che a tutte le altre parti strutturali) e originato da un difetto in sommità di pila 9 lato Sud  “conseguente ad importanti errori di costruzione, rilevabili e rilevati all’epoca della costruzione, ma non resi noti da chi ne aveva conoscenza”, hanno spiegato in aula. 

“Era un pasticcio quello a cui stavano lavorando – ha sottolineato il consulente Paolo Riva – e gli operatori lo sapevano molto bene. E’ difficile che non lo sapesse qualcun altro, improbabile. Immagino che il braccio destro di Morandi, che era lì durante i lavori, non gli abbia riferito che c’erano stati problemi durante la tesatura dei cavi”.

Per questo secondo i consulenti e i legali degli imputati servono “nuove prove di carico“, con anche una nuova perizia se necessario, per quantificare la resistenza di “qualsivoglia elemento strutturale, sia crollato che non crollato” e degli “elementi strutturali del ponte”. 

Secondo i consulenti, nel corso dell’incidente probatorio “sono state acquisite evidenze incontrovertibili che non solo il crollo è stato innescato da una situazione localizzata, del tutto difforme rispetto alle altre parti della struttura (crollate e non crollate) ed ad esse non correlata né correlabile, ma anche che tutte le altre parti delle struttura del viadotto, per quanto affette da un degrado superficiale, non presentavano apprezzabili riduzioni di resistenza”. E quindi “esse non solo soddisfacevano le verifiche di norma, ma presentavano ampi margini di sicurezza, così da permettere di escludere che, per tali parti, potesse sussistere alcun rischio di crollo”.

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