Genova. Quello di Alice Scagni era un delitto imprevedibile per i poliziotti della Questura di Genova che ricevettero alle 13.30 del 1 maggio 2022 la telefonata del padre di Alberto Scagni, sette ore prima sette ore prima dell’omicidio. In quella telefonata Graziano Scagni aveva riferito alla centrale operativa delle minacce di morte telefoniche che il figlio aveva rivolto a loro e indirettamente alla sorella Alice se non gli avessero consegnato del denaro.
I poliziotti (l’agente che rispose alla telefonata, che si consultò a lungo anche con il capoturno), secondo la gup agirono correttamente nell’indicare al padre di richiamare se il figlio si fosse presentato sotto casa e soprattutto di andare a denunciarlo (In questo articolo la trascrizione e l’audio della lunga telefonata).
La gup: “Corretto non inviare una volante”
Per la gup Carla Pastorini quella minacce, erano in quel momento un’”ipotesi di reato procedibile a querela, querela che sicuramente non era stata presentata fino a quel momento”. Ed è stato quindi “corretto” per i poliziotti della centrale operativa della Questura “il mancato invio id una pattuglia in quanto il soggetto non era presente presso l’abitazione del padre e non sussistevano i presupposti per una sua eventuale ricerca non solo perché non era procedibile il reato denunciato, ma perché il potere di intervento autonomo della polizia è limitato ale situazioni di flagranza e quasi flagranza”. Per questo la gup Carla Pastorini ha accolto la richiesta della Procura di Genova, archiviando definitivamente i poliziotti indagati per omissioni d’atti d’ufficio nel cosiddetto fascicolo bis per l’omicidio di Alice Scagni, reato per cui il fratello Alberto è stato condannato a 24 anni di reclusione grazie allo sconto di pena ottenuto con la seminfermità.
I poliziotti non potevano arrestare Scagni per minacce telefoniche
“Tar l’altro – ricorda la giudice – il reato di minaccia aggravata non prevede neppure l’arresto” né vi è “alcun obbligo di inviare una volante per raccogliere una querela a domicilio”. Per la giudice “Non sussistevano le condizioni che portassero a valutare che il richiedente si trovasse in una tale situazione di pericolo che gli impedisse di uscire di casa e che fosse necessaria una sua immediata tutela. Quanto, poi, avvenuto che ha, purtroppo, dimostrato la gravità del pericolo in corso, non può basare la valutazione in esame”. Ancora, anche “l’eventuale invio di una pattuglia non avrebbe potuto impedire l’evento posto che, per la tipologia del reato, gli operanti, a parte il caso di intervento mentre erano in corso le minacce, non avrebbero potuto ricercare lo Scagni, non avrebbero potuto accedere alla sua abitazione, non avrebbero potuto arrestarlo”.
“Tante chiamate da numeri e soggetti diversi, ma mai nessuna querela”
Nelle dodici pagine del provvedimento il giudice rimette in fila i fatti che hanno preceduto la lunga e drammatica telefonata di Graziano Scagni delle 13.30: l’intervento a casa della nonna del 22 aprile per le serrature bloccate, quello della sera precedente all’omicidio – sempre a casa della nonna – con il principio di incendio e alcune precedenti chiamate di alcuni dei condomini del palazzo di via Balbi Piovera dove abitava Alberto per i citofoni bloccati con gli stuzzicadenti. In tutti i casi Alberto non era mai stato denunciato da nessuno, né dai vicini, né dalla nonna. E tutte le chiamate erano arrivate da numeri diversi. Compresa la penultima quella fatta alla Zarri la mattina del primo maggio che chiama il numero fisso della Questura (e non quello di emergenza che si attiva attraverso il 112) e parla con l’ufficio denunce. Gli operatori della centrale operativa quindi, non avrebbero potuto mettere insieme queste diverse telefonate, visto che nessuna – proprio per per la tipologia degli interventi e delle telefonate – era stata inserita nel protocollo SCUDO (quello che consente di vedere i casi di precedenti violenze agite), cosa che avrebbe fatto scattare un ‘alert’ rosso sul terminale dell’operatore.
Archiviato la psichiatra che tuttavia “agì con negligenza”
La gup ha confermato anche l’archiviazione per il medico della salute mentale della Asl3 che aveva da poco preso in carico Scagni (ma che mai aveva visto visto che al primo incontro non si era presentato chiedendo ai genitori 30mila euro per andare all’appuntamento). Però, secondo la gup la dottoressa aveva “valutato la presenza di problemi psichiatrici comportamentali tali da giustificare un intervento del servizio” e aveva anche “valutato che i comportamenti del soggetto erano gravi e pericolosi” tanto da dire ai famigliari di chiamare il 112 in caso di pericolo e di mettere in sicurezza la nonna, il soggetto più debole. Ma di fatto secondo la giudice avrebbe il medico ha procrastinato troppo tra l’incontro con i genitori del 22 aprile e la convocazione di Alberto (che era stato convocato solo per il giorno 2 maggio, quello successivo all’omicidio). “Era necessario provvedere nell’immediatezza per cercare di valutare più approfonditamente la situazione ed intervenire dal punto di vista medico psichiatrico” attraverso lo strumento dell’accertamento sanitario obbligatorio (ASO) che consente di visitare il paziente che sia affetto da problemi psichiatrici. Per la gup la dottoressa ha quindi avuto un comportamento “contrario a regole di diligenza e perizia”, ma si tratta tuttavia di un comportamento “colposo” (“non voleva negare un intervento dovuto, ma ha agito con imperizia e negligenza” scrive Pastorini nel provvedimento e non doloso come richiede il reato di omissione d’atti d’ufficio. E per questo anche per lei viene accolta la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura.
Gli avvocati dei poliziotti: “Ricostruzione puntuale e decisione corretta”
Soddisfatti ovviamente gli avvocati degli imputati. Per Pietro Bogliolo, che nella discussione in udienza aveva messo l’accento proprio sull’impossibilità dei poliziotti della centrale operativa di verificare l’esistenza di precedenti ‘segnali di allarme’ attraverso le telefonate, la gip “ha centrato in pieno il problema e ha fatto una ricostruzione precisa e molto corretta degli avvenimenti di quei giorni”. “Oggi posso dire -aggiunge la collega Rachele Destefanis – che era l’unica decisione corretta da prendere. I processi si fanno nelle aule di giustizia e quello che conta è il diritto”.
La famiglia Scagni farà ricorso alla Cedu
Valutazione ovviamente di segno opposto da parte di Antonella Zarri, madre di Alice e Alberto. “E’ un’archiviazione prevista, d’altronde ogni atto della Mìmagistratura che ho letto è contraddittorio in ogni capoverso e le indagini sono state gravemente carenti”. Farò di tutto perché in questo Stato si avveri una giustizia meno miope e pilatesca. E si lavori con coscienza anche nei ponti festivi e il primo maggio” conclude Zarri preannunciando indirettamente il probabile ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, come d’altronde l’avvocato Fabio Anselmo aveva preannunciato al termine dell’udienza preliminare se, come è stato confermato con l’ordinanza oggi, fosse arrivata l’archiviazione.