Genova. Si svolgerà il 17 aprile davanti alla prima sezione della Corte d’assise di appello di Milano il nuovo processo d’appello che vede imputati per omicidio volontario in concorso, Alessio e Simone Scalamandré i due fratelli accusati di aver ucciso il padre Pasquale, il 20 agosto 2020, nella loro abitazione di San Biagio.
La fissazione dell’udienza è arrivata insieme al deposito da parte della corte di Cassazione delle motivazioni della sentenza che ha annullato con rinvio sia la condanna a 21 anni per il maggiore dei fratelli, sia – su ricorso del procuratore generale – l’assoluzione in appello di Simone che in primo grado era stato condannato a 14 anni di reclusione grazie all’attenuante del “contributo minimo” nel delitto.
Rispetto a Simone Scalamandré la Corte di Cassazione scrive in sostanza, accogliendo il ricorso della procura generale, che i giudici di secondo grado, nel ribaltare la sentenza avrebbero dovuto “offrire una motivazione puntuale e adeguata, che dia pienamente conto della divergente conclusione adottata”. Non possono quindi “limitarsi ad indicare, più o meno analiticamente, le ragioni di un dissenso, essendo invece necessario” riesaminare “in modo approfondito il materiale probatorio vagliato nel precedente grado” considerato “quello eventualmente sfuggito alla valutazione del primo giudice, o ex novo acquisito, in modo da poter dare alla sua difforme decisione una diversa, compiuta e maggiormente convincente struttura motivazionale”
Circa la sentenza che aveva condannato Alessio Scalamandré a 21 anni di carcere, dei cinque motivi di appello proposti ne ha accolti due, che da sempre erano stati punti fondanti della difesa. Il primo riguarda l’articolo del Codice Rosso che impediva di bilanciare in modo adeguato le attenuanti con l’aggravante di un delitto commesso in ambito famigliare ma proprio il giorno prima della sentenza la Corte Costituzionale aveva dichiarato incostituzionale quell’articolo.
L’altro riguarda l’attenuante della provocazione, attenuante da sempre invocata dagli avvocati Luca Rinaldi e Andrea Guido, ma mai accordata fino al giudizio degli Ermellini che ora invitano la Corte d’assise d’appello a rivalutare l’attenuante “potendo essere nuovamente negata solo ove si ritenga – dando, tuttavia, di ciò congrua e stringente motivazione, che superi un quadro probatorio che sembrerebbe altrimenti eloquente – la mancanza di autentico nesso psicologico, e quindi il difetto di qualsivoglia correlazione, dal lato dell’adeguatezza causale, tra la condotta criminosa e i precedenti comportamenti ingiusti della vittima, nient’affatto banali e reiterati fino ai momenti immediatamente precedenti la condotta criminosa”
“Siamo contenti che la Cassazione abbia tenuto conto del particolare contesto in cui è maturato il reato – commenta Luca Rinaldi, uno degli avvocati di Alessio Scalamandré che si trova tutt’ora ai domiciliari – Ricordo che la Cassazione, che è giudice di legittimità e non di merito, non può dire esplicitamente che la provocazione c’è stata ma in sostanza dice alla Corte d’assise d’appello che il quadro è molto eloquente. Come di che se riterranno che non ci sia la provocazione dovranno impegnarsi molto per motivarlo”.
Gli avvocati di Simone Scalamadré, Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca, ripresenteranno davanti alla Corte d’assise di Milano gli argomenti tecnici e giuridici che avevano portato all’assoluzione di secondo grado, confidando – ma l’esito non è affatto scontato – che vengano accolti e meglio motivati dai giudici milanesi rispetto a quanto è stato fatto a Genova.
In ogni caso, dopo la nuova sentenza di appello a Milano, il processo non sarà ancora finito perché sarà quasi scontato un ennesimo ricorso in Cassazione da parte di una delle parti e il processo potrebbe arrivare a una sentenza definitiva tra un anno e mezzo.
Circa le possibili decisioni della Corte d’assise d’appello di Milano, se le attenuanti ‘suggerite’ dalla Cassazione fossero accolte in pieno la pena potrebbe scendere fino a 9 anni e 4 mesi, ma non è escluso se invece le attenuanti siano calcolate solo parzialmente, con una pena quindi più alta.