Cronaca

La madre di Alberto Scagni in visita nel carcere di Sanremo: “Pestaggio di tre ore, la cella è un macello”

Antonella Zarri ha fatto un sopralluogo nel carcere di Valle Armea, dove lo scorso 22 novembre il figlio, condannato a 24 anni e 6 mesi di carcere per l'omicidio della sorella Alice, è stato massacrato da altri detenuti

alberto scagni antonella zarri

Genova. Un pestaggio durato tre ore, la cella che ricorda “la scena di una sommossa in 15 metri quadrati”: queste le parole con cui Antonella Zarri, madre di Alberto Scagni, condannato a 24 anni e 6 mesi per l’omicidio della sorella Alice e, lo scorso 22 novembre, picchiato in carcere a Sanremo da due compagni di cella, ha descritto quanto visto durante il suo sopralluogo nel penitenziario di Valle Armea.

Zarri è arrivata in carcere due settimane dopo il pestaggio del figlio, che si trova ancora ricoverato in prognosi riservata e in coma farmacologico all’ospedale Borea di Sanremo dopo essere stato sottoposto a due interventi chirurgici per le gravi ferite al volto riportate durante l’aggressione. La donna, nel suo racconto, riferisce di essere arrivata in carcere alle 10, e di essere stata condotta alla cella 6, quella in cui era detenuto Alberto Scagni, un’ora e mezza dopo: “La cella è quella in cui è stato massacrato di botte Alberto, mio figlio – racconta la donna – davanti alla cella 6, c’è la cella 9. Ci sono tre persone detenute, appena rivolgo lo sguardo, si avvicinano: ‘Ci dispiace per quello che è successo, abbiamo chiamato noi, abbiamo cercato di fermarli’. Chiedo quanto tempo è durato, mi rispondono ‘tre ore’”.

I ragazzi nelle celle vorrebbero parlare, ma vengono rapidamente istruiti a non esporsi – prosegue Zarri – Allora parlano gli occhi, tradiscono disperazione, senso di impotenza, sono gli occhi del carcere. La cella è un macello. In un angolo, è rimasta una scarpa di Alberto. Le macchie di sangue sono ovunque. Tavoli e brande, scaravoltati. È la scena di una sommossa, in 15 metri quadrati. Un detenuto anziano, lui è nella cella 7, mi ripete nuovamente che gli dispiace”.

“Il vicecomandante della polizia penitenziaria lo zittisce – prosegue il racconto – Il vicecomandante mi allontana per parlare da solo con il signore. Ne approfitto, torno fuori dalla cella 9, chiedo: ‘Volevano ammazzarlo?’ Un ragazzo si mette una mano sul petto, sottovoce mi dice: ‘Non lo so, non lo so davvero’. Ha l’aria ancora spaventata, quella di chi ha visto”. A quel punto si presenta un’altra agente “che si qualifica come comandante della polizia penitenziaria”, e che conduce Zarri dalla direttrice del carcere.

“Resta muta, insipida e melliflua, non una parola di rammarico – riferisce la madre di Alberto Scagni – C’è chi lo chiede per me: ‘La signora voleva sapere cosa è successo’.C’è un’indagine in corso”, risponde. Sbotto, in modo educato, che la verità si può dire sempre. Sono le mie ultime parole, esco poco dopo senza nessuna risposta”.

Il racconto, pubblicato sui social, è stato condiviso da Ilaria Cucchi, sorella di Stefano Cucchi e senatrice dell’alleanza Verdi-Sinistra italiana, che ha preso posizione sull’accaduto: “La famiglia aveva chiesto più volte aiuto allo Stato, perché Alberto soffriva e aveva già messo in atto comportamenti violenti, minacciando sua sorella e i suoi genitori. Lo Stato non ha risposto – ha scritto Cucchi – Da quando è finito in carcere, Alberto è stato massacrato più di una volta: a Marassi, prima, a Sanremo, pochi giorni fa. È stato picchiato talmente forte che ora ha bisogno delle macchine per sopravvivere. Questa è la giornata in carcere di sua mamma, Antonella, che si è recata nella struttura in cui era imprigionato Alberto, per capire dove lo Stato ha fallito. Una seconda volta”.

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