Le indagini

“Siamo in due, possiamo fare un’orgia?”: scoperti due centri massaggi a luci rosse in pieno centro a Genova, tre arresti

I due centri fruttavano fino a 120mila euro al mese, soldi trasferiti in Cina. Una decina le ragazze sfruttate

prostituzione cinese
Foto d'archivio

Genova. Tre cittadini cinesi, due donne e un uomo, sono stati arrestati grazie a un fermo disposto dalla Procura di Genova per sfruttamento della prostituzione. In base alle indagini i tre, di cui due (una coppia di 32 e 31 anni con un precedente specifico nel milanese), gestivano due centri massaggi fittizi che mascherano lo sfruttamento della prostituzione di una decina di connazionali. I due centri, che si trovano in via Pozzo 13R e in via Antiochia 17R, sono stati posto sotto sequestro. Il primo indirizzo, fra l’altro, risulta associato al nome di un architetto, del tutto estraneo alla vicenda

Le indagini sono partite da alcuni annunci anche parecchio espliciti pubblicati su siti web a luci rosse dove comparivano le foto di alcune ragazze poi effettivamente scoperte a lavorare nei due locali. Fondamentale anche la testimonianza di un cliente che, fermato dalla polizia giudiziaria appena uscito dal centro massaggi di via Pozzo, ha confermato l’erogazione di prestazioni sessuali.

Le indagini sono proseguite con appostamenti e intercettazioni da cui è emerso che mentre la coppia più giovane di fatto era la titolare di tutta l’attività, l’altra donna, 44enne, svolgeva le mansioni di telefonista accogliendo le richieste dei clienti, formulando le proposte per il “servizio” e organizzando gli appuntamenti delle ragazze, tutte giovani cinesi con nomi tutti italiani. E dalle telefonate al centro il riferimento alle prestaziozio sessuali è palese: “Siamo in due, possiamo fare un’orgia?” chiedeva un cliente, mentre un altro, evidentemente un abitué chiedeva quali fossero le ragazze disponibili quella sera, altri specificavano le prestazioni sessuali richieste al che la telefonista illustrava il “prezzario” e via dicendo.

Un’attività molto redditizia che fruttava, in base alla indagini, circa 100-120mila euro complessivi al mese per i due ‘negozi’ . Il denaro veniva poi traferito in Cina. Per il pm non è dimostrata l’attività di autoriciclaggio, ma solo il trasferimento di ingenti somme di denaro in Cina tramite un intermediario a Milano.

In un caso da un’intercettazione è anche emerso che un trasferimento di oltre 50mila euro aveva portato al blocco del conto corrente da parte delle autorità cinesi e anche i proventi destinati alle ragazzi venivano spediti dagli sfruttatori direttamente nel loro Paese d’origine.

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