Il processo

Presunte estorsioni al Genoa, l’ex presidente Preziosi in aula: “Chi vive a Genova come Zarbano ha paura. Io verso quella gente non ho mai avuto timore reverenziale”

"Non sapevo che avessimo un contratto con una società collegata a Leopizzi, sennò non avrei permesso di dare i soldi a quella gente". E ha raccontato di un tentativo di estorsione legato a un presunto debito di Milanetto "di 200mila euro nei confronti di uno straniero"

L'ex patron del Genova Enrico Preziosi insieme all'avvocato Maurizio Mascia

Genova,. “Io non ho mai avuto timore reverenziale verso questa gente qua e poi io vivo a Milano, dopo la partita me ne tornavo a casa mentre Zarbano vive a Genova e secondo me ha paura”. E’ la volta della testimonianza di Enrico Preziosi al processo che vede imputati 15 ultrà del Genoa di diversi reati tra cui presunte estorsioni alla società. Estorsioni che nella scorsa udienza l’amministratore delegato Alessandro Zarbano ha negato, minimizzando anche ogni episodio di contestazione e presunte intimidazioni al Genoa e ai suoi giocatori. Preziosi, presidente del club rossoblù dal 2003 fino a due anni fa, è arrivato in aula accompagnato da suo avvocato di fiducia, Maurizio Mascia.

L’ex patron del Genoa ha ribadito che “era Zarbano che si occupava di tutti i pagamenti e delle decisioni amministrative della società, aveva la mia completa fiducia e totale autonomia e mi sono anche un po’ arrabbiato quando ho saputo della Sicurart, del fatto che dietro ci fosse Leopizzi perché io non avrei mai permesso che la società pagasse un’azienda legata alla tifoseria organizzata e a questa gente, ma l’ho saputo solo quando è emerso dall’indagine”. 

Preziosi ha anche detto di non aver mai conosciuto né incontrato Arthur Marashi ma invece Massimo Leopizzi lo conosceva bene. Ha ricordato un vecchio episodio, risalente al 2005 dopo la partita Genoa Venezia: “Mi invitarono in un ristorante che poi ho saputo era collegato a Leopizzi. Volevano che ammettessi di aver comprato quella partita e anche altre, ma io non confessai proprio niente perché non era vero e me ne andai. Ho saputo che mi avevano registrato. Fu un incontro concitato dove Leopizzi a un certo punto si mise a urlare ‘Il Genoa è mio e decido io’ e io gli risposi che allora poteva cominciare a pagare gli stipendi”. Quell’incontro “fu un incontro coercitivo, volevano estorcermi quella confessione per farmi richieste successive ma in quel momento non mi fecero richieste specifiche anche perché io me ne andai. Paventavano il controllo e l’orientamento della tifoseria e hanno voluto dimostrare la loro forza e il loro potere“.

Per descrivere il clima che si respirava in casa Genoa Preziosi ha raccontato un altro episodio, un vero e proprio tentativo di estorsione che tuttavia non è oggetto di capo di imputazione perché Preziosi l’ha raccontato solo a indagini chiuse, in un interrogatorio in questura davanti al procuratore aggiunto Francesco Pinto (che oggi lo ha nuovamente interrogato come teste insieme alla pm titolare del fascicolo Francesca Rombolà). L’episodio risale ai primi mesi del 2017. Il presidente dell’associazione club genoani Davide Traverso era andato con Massimo Leopizzi nell’ufficio di Preziosi a Cogliate, in provincia di Monza “Sono venuti in ufficio e Leopizzi mi hanno detto che Milanetto aveva un debito di 200mila euro verso uno straniero e che sarebbe stato meglio che quel debito fosse saldato per evitare fatti spiacevoli”.  Preziosi stamattina ha collegato la vicenda al derby del 2012, all’assist di Milanetto che fece vincere il Genoa all’ultimo minuto facendo andare in B la Samp e a una presunta ‘scommessa’ di Marashi su quella partita, ma sul punto la versione di oggi è stata confusa e lo stesso Preziosi ha poi anmesso che probabilmente la partita di cinque anni prima non c’entrava nulla e che il nome di Marashi non ricordava fosse venuto fuori.

Certo però ha ribadito di aver pensato che “il debito di Milanetto fosse un pretesto per chiedere soldi alla società e che lui quei soldi non li ha mai pagati. In quell’incontro  “il burattinaio era Leopizzi  – ha aggiunto – mentre Davide Traverso fingeva si travestiva da persona ragionevole ma poi di fatto rispondeva a Leopizzi”.

Dopo quell’episodio e altre contestazioni pesanti (ricordo fra l’altro gli striscioni contro di me “devi morire” e contro mia figlia” e alcuni fra gli episodi che si trovano nel capo di imputazione tra cui le intimidazioni a Izzo fuori dal ristorante San Giorgio, Preziosi chiama al telefono Davide Traverso, presidente dell’associazione Club genoani. La telefonata, molto lunga, è stata intercettata dagli investigatori. “In quella telefonata ho detto a Traverso che ero stufo, che sapevo benissimo che personaggi erano loro, e che avevo le prove. In pratica ero talmente stufo di tutti questi comportamenti che gli ho fatto capire che anche io come avevano fatto loro anni prima li avevo registrati quando erano venuti a Cogliate, anche se non era vero perché non è mia abitudine registrare le persone”.

Per il resto, Preziosi che pur andava allo stadio, ha saputo solo indirettamente, perché gli sono stati raccontati, di tutti gli episodi oggetto di contestazione, dal blocco del pullman dopo Pescara-Genoa, all’episodio di Izzo, da Genoa-Siena (“io non avrei mai acconsentito che si togliessero le maglie”) alle contestazioni al campo di allenamento (“arrivavano sempre in 200 ma sempre quando non c’ero io, forse qualcuno li avvertiva) fino all’episodio del ritiro anticipato dopo la sconfitta al derby dell’11 marzo 2017: “Visto che c’erano le contestazioni era normale andare in ritiro per stare più tranquilli. Non mi ricordo chi ha me lo ha suggerito, alla fine immagino di essere stato io a dare il via libera, ma non ricordo altro né che Zarbano mi abbia parlato di richieste specifiche dei tifosi. Di solito quelle cose non me le diceva perché sapeva che mi sarei arrabbiato”.

Preziosi nel corso delle tre ore di deposizione non ha certo lesinato accuse ai principali imputati del processo “A loro del Genoa non importa assolutamente niente, loro agiscono per loro interesse preciso nei confronti della società, approfittando dei momenti di difficoltà per dimostrare la loro forza” ha ribadito più volte, confermando in aula quello che aveva detto davanti alla Commissione antimafia che si occupava delle infiltrazioni nel mondo dello sport ricordando l’episodio di Genoa-Siani: “A quei tifosi non doveva essere dato il Daspo, dovevano andare in galera”.

E fuori dall’aula, ai giornalisti ha ribadito il concetto: “Certi personaggi non dovrebbero entrare nel mondo dello sport” ha detto riferito a Massimo Leopizzi, uno dei principali imputati che oggi non era tuttavia presente in aula.

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