Riflessioni

Decreto sicurezza, perplessità dei garanti dei detenuti: “Preoccupati per le madri in carcere con i figli”

La lettera aperta è stata inviata al governo, parlamentari, sindaci e associazioni

Sant'Agostino carcere

Genova. Riceviamo e pubblichiamo integralmente una lettera aperta firmata da 26 garanti territoriali, Doriano Saracino, quale Garante regionale liguri dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale e Stefano Sambugaro, in qualità di Garante del Comune di Genova delle persone private della libertà La lettera è in corso di invio a Senatori e Deputati liguri, Ordini degli avvocati e associazioni di categoria dei difensori legali, Magistratura e Sindacati di polizia penitenziaria.

“Perplessità e preoccupazioni suscita il disegno di legge in materia di sicurezza pubblica approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso venerdì 16 novembre. Trattandosi, correttamente, di un disegno di legge presentato all’esame parlamentare in forma ordinaria, e dunque aperta alle correzioni che in quella sede potranno essere proposte dai singoli e dai gruppi anche alla luce delle considerazioni emerse nel dibattito pubblico, i sottoscritti Garanti delle persone private della libertà nominati da Regioni, Province e Comuni italiani rappresentano quanto segue e verrà indirizzato ai parlamentari eletti nei territori di riferimento, ai Magistrati, agli avvocati, ai sindacalisti e agli operatori del terzo settore, perché se ne facciano portavoce nelle opportune sedi istituzionali. Riteniamo questa discussione utile perché altrimenti il risultato sarà solo un ulteriore affollamento delle carceri. Si produrrà carcere e non sicurezza.

1. Fatta salva ogni altra considerazione sulla efficacia e sui rischi delle norme in materia di sicurezza urbana e di tutela del personale di polizia – a partire dalla generale autorizzazione al personale di polizia di portare con sé armi al di fuori dal servizio – in linea generale l’innalzamento dei limiti edittali per fattispecie di reato già previste e l’introduzione di nuove ipotesi incriminatrici potrebbe portare in breve tempo ad un aumento sensibile della popolazione detenuta, in costante crescita dalla fine della pandemia (erano 59.715 le persone detenute al 31.10.2023, 3.519 in più rispetto all’inizio dell’anno, 5.581 in più rispetto alla stessa data dell’anno precedente).

2. In particolare, suscita particolare preoccupazione l’abrogazione dei commi 1 e 2 dell’art. 146 del codice penale che, rendendo solo eventuale il differimento di pena, va a colpire le donne incinte e le madri di prole di età inferiore a un anno. Non è forse superfluo ricordare che il differimento obbligatorio della pena in capo alle donne incinte e alle madri di neonati era stata introdotta dal codice penale del 1930 con il chiaro intento di tutelare la maternità, il nascituro, l’infante e al contempo la sua relazione con la madre.

Il differimento della esecuzione della pena verrebbe escluso quando sussista un “pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti”, come si legge nella rubrica dell’art. 12 dello schema di ddl; pericolo assai indeterminato, visto che si fa genericamente riferimento a “ulteriori delitti” non meglio specificati. Senonché il governo ignora che il sistema già prevede degli “antidoti” ai rischi che paventa: infatti, nell’ordinamento penitenziario l’art. 47-ter, co. 1-ter, consente alla magistratura di sorveglianza di applicare, nei casi di rinvio obbligatorio o facoltativo della pena, la detenzione domiciliare (misura senza dubbio contenitiva), qualora sussistano ragioni di cautela. Si tratta di uno strumento flessibile, tale da consentire di superare eventuali considerazioni negative in ordine alla pericolosità del soggetto, e nel contempo di tutelare le situazioni o le condizioni ritenute meritevoli di protezione. In questo caso si tratta dello sviluppo psicofisico dell’infante, della dignità e della salute della donna incinta e del nascituro. L’art. 31 della Costituzione, infatti, afferma che la Repubblica “protegge e tutela la maternità e l’infanzia …, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Con la nuova previsione, l’interesse del minore – riconosciuto come “superiore” nell’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 e riaffermato anche dalla Corte costituzionale italiana in numerose sentenze – viene sacrificato in nome di generiche esigenze di tutela della collettività.
Gli ICAM sono da tempo già superati legislativamente dalle Case famiglie protette, istituite con la legge 62/2011 e opportunamente finanziate per il triennio 2021-2023 dalla legge 178/2020.

3. Su un piano diverso suscita altrettante preoccupazioni l’introduzione di una nuova fattispecie (art. 415-bis c.p.) di “rivolta in carcere” punita con pena da 2 a 8 anni se consistente nella promozione, organizzazione o direzione di una rivolta, e con pena da 1 a 5 anni se consistente nella mera partecipazione. In particolare, preoccupa la previsione che il reato possa essere contestato a un sodalizio di sole tre persone, anche mediante atti di resistenza passiva, e dunque nonviolenta. In proposito è bene ricordare che tutte le proteste manifestatesi in alcune carceri italiane allo scoppio della pandemia hanno portato all’apertura di procedimenti penali e alla condanna dei partecipanti identificati, senza che fosse necessaria l’introduzione di un reato di questa natura. Analoghe previsioni riguardano le rivolte organizzate nei centri di trattenimento e accoglienza per migranti. Addirittura, la nuova previsione penale amplierebbe ulteriormente la già strabordante gamma dei delitti ostativi ai benefici penitenziari, costantemente criticata dalla dottrina e dagli operatori del diritto.

4. Decisamente insufficienti a bilanciare queste restrizioni appaiono l’aumento da 4-5 a 6 il numero di telefonate per i detenuti (al di fuori di una disciplina premiale lasciata alla discrezione delle direzioni degli istituti) e una delega al governo a riformulare il Regolamento penitenziario in materia di lavoro, sulla base di criteri direttivi allo stesso tempo generici nella formulazione ed eccedenti le competenze del Ministero della giustizia in materia di lavoro.”

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