L'ordinanza

Giro di scommesse e usura, l’ombra del clan Fiandaca. Un indagato: “Chicco Sechi era il loro picchiatore, mandavano sempre lui”

Il giudice ha però escluso al momento l'aggravante del metodo mafioso. Alcuni degli indagati avevano aperto anche una bisca clandestina in centro città

polizia questura

Genova. Un giro di scommesse clandestine su partite di calcio del campionato italiano e non solo ma anche basket e tennis, l’usura in agguato per chi non riusciva a saldare immediatamente i debiti e il progetto da parte di alcuni indagati di aprire una vera e propria bisca clandestina vecchio stampo, utilizzando un circolo in centro città.

Per questo 9 persone sono state colpite da un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Genova, ma gli indagati nell’operazione condotta da squadra mobile e Sisco di Genova sono molti di più. E se il giudice Matteo Buffoni ha escluso l’aggravante del metodo mafioso, il nome del clan dei Fiandaca, di cui Roberto ‘Chicco’ Sechi era un uomo di fiducia (che si occupava ‘da ragazzo’ proprio delle riscossioni delle scommesse clandestine) e che secondo gli investigatori sarebbe il capo del sodalizio, resta un’ombra inquietante.

Oltre a lui, sono finiti in carcere Giovanni Bizzarro, 62 anni, anche lui pluripregiudicato (condannato per ricettazione e truffa) e Fabio Praticò, 40 anni, con alle spalle diversi precedenti penali tra cui quello per associazione a delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti e che già si trovava in carcere per un altro reato. Ai domiciliari invece sono finiti Stefano Garbarino, con precedenti per associazioni a delinquere ed esercizio abusivo di scommesse illecite, e gli incensurati Giuseppe Palermino e Umberto Ferri. Altre tre persone sono state colpite dall’obbligo di dimora e avrebbero avuto ruoli certamente meno rilevanti nell’organizzazione.

L’indagine, coordinata dal sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia Federico Manotti, è partita da un giro di scommesse clandestine che venivano gestite in pieno periodo di Covid, attraverso alcune chat. Erano tanti a scommettere tra gli appartenenti alla ‘Genova bene’, tra cui l’ex presidente di una squadra calcistica ligure che gioca in Lega pro che gli indagati chiamano ‘Il campione’ perché scommette e perde forte, oltre a imprenditori e professionisti.

Proprio dai debiti accumulati da un imprenditore di una nota famiglia che gestisce una catena di pizzerie tra il capoluogo ligure il levante e la Lombardia sono partite le indagini: l’uomo infatti – dipendente da droghe e ludopatico, aveva accumulato debiti per oltre 100mila euro ed era finito nei mirino degli strozzini.
Ha pagato una parte del debito (con tasso annuale del 53%), poi è fuggito dalla città rifugiandosi in una comunità di recupero. I famigliari, che sapevano che parte del debito era stato contratto proprio con Roberto Sechi, detto Chicco, condannato 20anni fa per associazione per delinquere di stampo mafioso, si convincono a pagare.

Tutti i passaggi di denaro avvengono sotto gli occhi degli investigatori della polizia, tra intercettazioni ambientali, telefoniche, pedinamenti e localizzatori. Gli inquirenti scoprono che l’imprenditore non è l’unico ad essere vittima di usura, ci sono anche un professionista (che tuttavia a sua volta diventerà indagato per aver convinto un amico a prendere un prestito dagli strozzini), il proprietario di un appartamento, che voleva venderlo, ma aveva bisogno di denaro contante per sbloccare una vecchia procedura esecutiva sull’immobile e un venditore ambulante. Uno degli arrestati addirittura, sapendo di dover entrare in carcere, aveva chiesto alla sorella di ricevere i debitori nel suo negozio.

Nel frattempo gli indagati gestivano il giro di scommesse che qualcuno di loro chiama il “fantacalcio” riscuotevano i debiti, che chiamano “il gelato” o la “pepita mensile” in riferimento agli interessi accumulati e si dividevano i guadagni. Tutti attenti a non fare arrabbiare ‘Chicco” Sechi. “Eee quello è… ce l’ha nel dna – dice uno degli indagati finiti ai domiciliari in una conversazione intercettata – quello è proprio cattivo di natura, lui è nato per picchiare, non c’è niente da fare… lui era il, il picchiatore della banda degli anni ’90, mandavano sempre lui, non c’è niente da fare”.

E quando due degli indagati si mettono in testa di aprire una bisca clandestina all’interno di un circolo in via Antiochia è lo stesso Sechi a far arrivare il messaggio: “Si però ragazzi cioè io mi faccio i cazzi miei ma c’è Tano lì dietro eh! C’è la pizzeria… Tano là..” dice riferendosi a Gaetano Fiandaca, pluripregiudicato per mafia che, dal 2019 in semilibertà, lavora nella pizzeria della moglie non lontano da via Antiochia. “Tano appena è uscito mi ha detto “chi è che fa le partite qui in mezzo?… “Forse non hai capito… Tano ( è lì dietro con la pizzeria, se viene a sapere se c’è un gioco nel circolo va a rompere il cazzo sicuramente, e viene a rompere il cazzo a me”.

O ancora quando ricorda a uno degli altri indagati: “Salvatore Fiandaca, mi ha sempre detto, qualsiasi cosa che sia gioco, è mio, perché ho preso gli ergastoli per questo, ho preso un’associazione mafiosa anch’io, ho preso le confische dei beni”. Sechi negli ultimi anni ha subito il sequestro di diversi locali tra creperie e autolavaggi intestati a prestanome, l’ultima volta nel 2018. La bisca di via Antiochia, come emerge dalle indagini, viene effettivamente poi aperta, e poi chiusa diversi mesi dopo.

Nonostante le affermazioni dello stesso Sechi e altri elementi portati dalla Procura il giudice però ha rigettato allo stato l’aggravante del metodo mafioso “in assenza di prove circa eventuali contatti tra Sechi e Fiandaca ( o altri esponenti della medesima consorteria) ed in assenza di elementi precisi da cui dedurre un qualche coinvolgimento concreto di Fiandaca negli negli “ affari” degli indagati, risulta arduo riconoscere l’operatività dell’aggravante in parola”, così come il giudice non ha ritenuto sussistente il reato di estorsione visto che a suo avviso gli indagati non le ‘pressioni’ ai debitori, non sarebbero mai sfociate in minacce vere e proprie.

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