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Quel che resta del kolchoz, la mostra reportage alla Feltrinelli

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quel che resta del kolchoz
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Genova. Si intitola “Quel che resta del kolchoz” e venerdì 10 febbraio alle 18 viene inaugurata nella Libreria Feltrinelli di Genova. Si tratta di una mostra-reportage, nata dal viaggio del giornalista Massimiliano Salvo nell’ultima comune sovietica dell’Azerbaijan.

La mostra è organizzata da Neos-Giornalisti di viaggio associati, di cui Massimiliano Salvo – 30 anni, giornalista collaboratore di Repubblica – è membro.

Sarà presentata da Pietro Tarallo, giornalista e scrittore di viaggio, presidente di Neos.

La mostra resterà esposta nello spazio eventi della Feltrinelli (al quinto piano) sino a domenica 5 marzo negli orari di apertura della libreria.

L’ingresso è gratuito.

Il reportage racconta la storia di Ivanovka, un villaggio dell’Azerbaijan che vive ancora come un kolchoz, con campi, animali e trattori collettivi.

Ma mentre nel resto del Paese c’è il boom economico e i giovani sognano jeep e computer, i più anziani non si danno per vinti: «Qui l’Urss esiste ancora».

Il paese fu fondato a metà 1800 dai russi cacciati dallo zar Nicola I perché di religione molocana, una “corrente” cristiana ritenuta eretica.

Dopo il crollo dell’Urss Ivanovka è rimasta un kolchoz e grazie all’appoggio dell’allora presidente dell’Azerbaijan, Heydar Aliyev, ha potuto mantenere questo status economico.

Campi, animali, granai e pagliai sono comuni; le macchine del villaggio sono quelle dell’epoca; nei pochissimi negozi le merci sono ridotte all’osso.

Nonostante i più anziani siano contenti di questo tipo di vita – che consente a tutti di sopravvivere dignitosamente – Ivanovka è destinata a scomparire e negli ultimi anni la situazione sta peggiorando velocemente.

La popolazione accusa gli amministratori del kolchoz di vendere le terre comuni ai privati, approfittando della mancanza di documenti che attribuiscano i campi al villaggio, ma soprattutto, i più giovani non vogliono fare una vita da contadini poveri in un Paese, l’Azerbaijan, che cresce in modo vertiginoso da dieci anni.

Già da un po’ di anni i ragazzi partono per la Russia per lavorare come contadini qualche stagione e ritornare in Azerbaijan con un po’ di soldi da parte.

Ma ormai anziché rientrare nel villaggio restano in Russia o si trasferiscono a Baku.

 

 

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