Genova. Dal 29 gennaio al 12 febbraio le suggestive sale di Palazzo Stella ospitano la mostra personale di Maurizio Forno “Morfogenesi”, a cura di Flavia Motolese (inaugurazione alle ore 17). Il giovane talentoso pittore genovese rielabora emotivamente la realtà e l’esperienza sensibile attraverso il ricordo. Avere trent’anni e dimostrare una capacità espressiva tale da rendere un dipinto indecifrabile varco e frontiera dell’incognito è fatto raro ma ci sono artisti che si muovono sul limine della sensibilità percettiva e con raffinata misura formale creano suggestioni potenti in grado di insinuarsi nell’anima.
È il caso di Forno, le cui opere, permeate da un vago senso di mistero, si caratterizzano per la loro capacità di raffigurare l’essenza impalpabile del reale: ciò che nel Romanticismo sarebbe stato definito come manifestazione del “Sublime”. La pittura astratta dell’artista aspira a cogliere la genesi della forma percepita: il dinamismo della composizione, creato dalla dirompente energia della pennellata, la riduzione dei volumi in masse cromatiche e la tensione di forze contrapposte svelano figure colte alla sommità della percezione e tradotte in immagine.
Il colore domina la superficie pittorica, fluendo libero, a tratti impetuoso, animato da contrappunti luministici e scarti tonali, mentre la vaporizzazione della luce la eleva ad entità autonoma, sublimando l’immaterialità della composizione. Come commentava il critico d’arte Giuseppe Billi a proposito di alcuni disegni di Paul Jenkins, queste opere “sono come una sindone, soffi di colore asciugati in cui è possibile vedere l’oltre”.
Più che descrivere, l’immagine suggerisce un paesaggio inconscio, mutevole e percorso da forze inquiete che in una progressiva dissoluzione delle forme e degli spazi assumono di volta in volta l’aspetto di vortici, fasci luminosi, onde ascensionali o spiraliformi. Inevitabile, anche se scontato, paragonare le qualità atmosferiche dei suoi dipinti con quelle di William Turner o di scorgere nel tempo sospeso e nelle presenze suggestive, evocate nell’ombra, l’eredità di Emilio Scanavino.
Nella modulazione della luce e nel colore l’artista stempera visioni inafferrabili, tra il reale e l’immaginario, sottraendole a qualsiasi connotazione naturale e abolendo le costrizioni della linea chiusa e dell’inquadratura prospettica classica grazie ad uno sfondamento spaziale. Una dimensione di confine tra la presenza fisica concreta e l’elaborazione del ricordo, che, dopo aver attinto dalla più profonda conoscenza della realtà esteriore e interiore, si stratificano sulla tela con pathos e attenzione alle scelte cromatiche. Superando la dialettica tra percezione e pensiero nella trasposizione pittorica dell’interiorità veicolata dalla trasfigurazione lirica del dato reale, la pittura informale di Forno allude all’inestinguibile tensione verso l’infinito connaturata alla natura dell’uomo.