Genova. Venerdì 23 luglio alle ore 20 il Coro del Teatro “Carlo Felice”, diretto dal maestro Francesco Aliberti, il soprano Barbara Bargnesi, il mezzosoprano Carlotta Vichi, il tenore Manuele Pierattelli, il basso Davide Giangregorio, i pianisti Sirio Restani e Letizia Poltini e Patrizia Priarone all’harmonium interpreteranno “l’ultimo dei ‘péchés de vieillesse'” di Gioachino Rossini: la “Petite Messe solennelle”.
Scritta nella sua residenza di Passy, a Parigi, città del suo ritorno alla vita, dove il compositore era approdato assieme alla seconda moglie Olympe Pélissier dopo vent’anni di prostrazione fisica e morale vissuti prima a Bologna e poi a Firenze, la messa si compone di quattordici brani in cui si alternano musica sacra e profana. Fu eseguita per la prima volta il 14 marzo 1864 in forma privata nella cappella della famiglia Pillet-Will a Parigi, grazie ai cui eredi Philip Gossett poté ricostruire l’originale nel 1997 e per la prima volta in Italia al Teatro Comunale di Bologna solo nel 1869.
Grondante lirismo, come nell’aria del tenore “Domine Deus, Rex coelestis”, reminiscente del “Cujus animam” dello “Stabat Mater”, la composizione si caratterizza inoltre per la ricchezza della sua elaborazione tematica, frutto anche dello studio condotto sull’edizione critica bachiana. Unanimemente considerato il capolavoro dell’ultimo Rossini, che amava definirlo il suo “ultimo peccato mortale di vecchiaia”, ha continuato ad impressionare le generazioni successive di compositori e affascinare il pubblico per le sue forme avveniristiche e la capacità di rivelare l’uomo che si celava dietro la “maschera” ironica e distaccata, che in musica cade nel momento in cui Rossini scrive la sua più sentita lode a Dio e raccomanda ai suoi primi interpreti di eseguirla “con amore”.
“La sua natura musicale è composita – afferma Aliberti – Si tratta di un’opera sacra su cui Rossini innesta però la teatralità che gli è innata e che sarà esaltata nell’interpretazione del coro e dalla lettura lirica delle parti soliste. La personalità poliedrica, geniale e forse non ancora del tutto compresa di Rossini qui rivela il suo lato più intimo, come emerge chiaramente in “Crucifixus” o “O salutaris hostia”, entrambi arricchiti da elementi contrappuntistici derivati dalla tradizione napoletana. Quello della “Petite Messe solennelle” è un Rossini che continua a “giocare” con la vocalità, lasciando però che la sua natura profonda si palesi e la sua “debolezza” si manifesti quale rivelazione di forza, allontanatosi da decenni dalle convenienze e dagli inconvenienti teatrali.
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