Genova. Nel 2023 l’Accademia Svedese ha conferito il Premio Nobel al poeta, narratore e saggista norvegese Jon Fosse, il quale deve la sua fama principalmente al teatro, che gli ha permesso di varcare i confini norvegesi ed essere apprezzato in Francia, Germania, Cina e negli Stati Uniti. In Italia prima del Nobel era noto grazie ad un piccolo gruppo di drammaturghi, registi e case editrici che ne hanno diffuso le opere, superando la barriera ripetitiva dei grandi canali ufficiali. Dal 12 al 23 marzo la sua pièce “Too late” sarà rappresentata per la prima volta a Genova al Teatro Gustavo Modena di Sampierdarena.
Martedì 4 marzo alle ore 17:30 alla libreria La Feltrinelli il Centro Culturale Charles Péguy, in collaborazione con Teatro Nazionale, offrirà l’incontro “Il buio splende di luce… Arte e Mistero in Jon Fosse”, in cui si potranno ascoltare Franco Perrelli, docente di Discipline dello Spettacolo ed esperto conoscitore della letteratura scandinava, che da più di un decennio studia, traduce e scrive su Jon Fosse, e Thea Dellavalle, regista di “Too late”, che insieme ad Irene Petris nel 2018 aveva già realizzato una prima messa in scena dell’opera drammatica di Fosse “The dead dogs”.
Qual è il mistero del fascino e dell’interesse che suscita Jon Fosse, tanto da meritare il Premio Nobel? La sua scrittura è minimalista e apparentemente semplicissima, i suoi personaggi vivono situazioni essenziali e i loro stessi nomi, spesso gli stessi nelle diverse opere, sono brevi e ridotti, le situazioni sono ordinarie e quasi banali ma al di dentro della linea narrativa e nel profilo dei personaggi si apre una sorta di crepa che fa balenare la luce. L’opera a cui la straordinaria scrittura di Fosse è approdata è “Settologia”, un romanzo in sette volumi che sembra fondere intimamente l’Ulisse di Joyce e il Godot di Beckett ma alla luce di grandi filosofi moderni e contemporanei e autori medievali. Ne nasce una sorta di commedia dell’io che attraversa Heidegger e Wittgenstein, Meister Eckhart e Dante Alighieri.
Nato in una famiglia luterana, Jon Fosse ha vissuto lontano dalla fede quasi tutta la vita. Ricorda di aver trovato in gioventù “più verità tra i compagni di bevute che negli ambienti cristiani” ma nota che “la letteratura intrisa di disperazione punti invece verso l’opposto, la pace, la pace di Dio”. Fosse esprime la condizione incerta che vive l’uomo di oggi. Le sue opere mettono in scena individui con relazioni limitate, un’identità indefinita, addirittura senza un nome, magari ricchi di desideri e creatività ma bloccati dal dubbio e dall’ambivalenza di ciò che appare e che accade.
Egli attraversa la grande letteratura del ‘900 ma il suo approdo sembra intravedere una speranza: “È quando il buio ha raggiunto il massimo, il nero ha raggiunto il suo apice, che è possibile vedere la luce – dice – È in quel momento che la si può vedere, dunque il buio splende di luce, sì, o almeno nella mia vita è sempre stato così, che quando il buio era totale, è apparsa la luce e il buio ha cominciato a splendere”.
