Materialista, immorale, sensuale e sfrontato: Binasco spoglia Don Giovanni del romanticismo e lo trasforma in un personaggio del nostro tempo. Con questo allestimento del capolavoro di Molière Valerio Binasco si allontana dalla tradizione recente che ci ha abituati a un Don Giovanni emaciato, pre-esistenzialista, malinconico e cerebrale, in linea con le riletture novecentesche dell’opera.
Ho deciso di lasciar perdere il Cavaliere spagnoleggiante della prima tradizione o la figura vampiresca e tardoromantica che fu cara agli intellettuali del secolo scorso. Per quanto mi riguarda si tratta solo di divagazioni lontane da quella cosa che io chiamo “vita” – per mancanza di terminologia più precisa – e che mi ostino a ricercare in teatro. Cosa cerco? Cerco proprio Lui, il protagonista di questa storia, come posso immaginare che sia stato prima che nascesse la sua leggenda e la sua letteratura. Lo cerco nella vita, più che nel testo.
Con queste parole il regista introduce il suo percorso di attraversamento e ripensamento del Don Giovanni.
Se lo cerco nella realtà che mi sta intorno Don Giovanni è poco più di un autentico delinquente, non un borghese che si atteggia. È il risultato di desideri compulsivi e viziosi, che coltiva con il preciso scopo di stare bene con se stesso.
Ecco allora un personaggio gaudente, ironico, feroce, cui Gianluca Gobbi dà magistralmente esuberanza fisica e umorale. Accanto a lui il servo Sganarello, che l’ottimo Sergio Romano dipinge con tinte nevrotiche, allucinate, quasi beckettiane. Con un cast calibrato e giovane, il Don Giovanni dispiega una rinnovata vitalità, dai tratti cinicamente contemporanei.
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