Roma. E’ definitiva la condanna a 6 anni di reclusione per l’ex ad di Aspi, Giovanni Castellucci in relazione al procedimento legato alla strage del 28 luglio del 2013 quando un bus precipitò dal viadotto dell’Acqualonga nella zona di Monteforte Irpino, ad Avellino, causando la morte di 40 persone. Lo hanno deciso i giudici di Cassazione. Il manager è accusato di disastro colposo e omicidio colposo.
Castellucci, uno dei principali imputati per il crollo del ponte Morandi, dovrà andare in carcere.
Nella sua requisitoria il procuratore generale aveva sollecitato un appello bis per la rivalutazione della condanna per l’accusa di omicidio colposo e assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste”, ma i giudici della quarta sezione hanno deciso diversamente dopo un pomeriggio in camera di consiglio. Al vaglio dei supremi giudici si è arrivati dopo che la Corte di Appello di Napoli, nel settembre del 2023, ha inflitto sei anni a Castellucci che in primo grado era stato assolto.
Paolo Berti condannato a 5 anni
I giudici hanno fatto passare in giudicato anche le condanne per gli altri dirigenti della società e dipendenti del Tronco. Anche Anche Paolo Berti – ex numero tre di Aspi al momento del crollo del Morandi – la cui condanna per il bus è stata confermata a 5 anni, dovrà andare in carcere. E così Riccardo Mollo. I giudici hanno respinto tutti i ricorsi. Pena a 9 anni per il proprietario del bus, Gennaro Lametta e la condanna a 4 anni per l’allora dipendente della motorizzazione civile di Napoli, Antonietta Ceriola.
La strage sulla A16 il 28 luglio 2013
I turisti quella notte di quasi dodici anni fa tornavano a casa da una gita di alcuni giorni a Telese Terme (Benevento) e nei luoghi di Padre Pio. Lungo la discesa dell’A16 Napoli-Canosa, nel territorio di Monteforte Irpino, il bus guidato da Ciro Lametta, fratello del proprietario dell’agenzia Mondo Travel che aveva organizzato il viaggio, cominciò a sbandare dopo aver perso sulla carreggiata il giunto cardanico che garantisce il funzionamento dell’impianto frenante.
Dopo aver percorso un chilometro senza freni, ondeggiando a destra e sinistra, tamponando le auto, una quindicina, che trovava sul percorso, il bus nel tentativo di frenare la corsa si affiancò alle barriere protettive del viadotto Acqualonga che cedettero facendolo precipitare nel vuoto da un’altezza di 40 metri. Secondo l’accusa e il perito del gip si sarebbe verificato solo un incidente stradale se le barriere avessero tenuto e non una strage con 40 morti. E questo avvenne perché Autostrade non aveva adempiuto ai suoi obblighi di manutenzione di quelle barriere.
“Le decisioni si rispettano anche quando risultano incomprensibili – commentano gli avvocati di Castellucci Paola Severino e Filippo Dinacci – La decisione della Suprema Corte di Cassazione ci ha molto colpito. Sulla base delle prove che abbiamo fornito siamo convinti che l’ingegner Castellucci sia totalmente estraneo ai fatti e che abbia sempre svolto accuratamente i propri doveri di Amministratore Delegato. La censura che gli è stata mossa peraltro riguardava attività di esclusiva competenza del progettista, neppure indagato, e ritenevamo pertanto corretta la richiesta del Procuratore Generale della Cassazione di annullare la sentenza. Con questa sentenza, le responsabilità dei vertici diventano pericolosamente onnicomprensive. Utilizzeremo tutti gli istituti che la legge consente affinché possa essere riconosciuta la sua innocenza” .