Genova. La telefonata di Soracco al 113 dopo aver visto Nada “in un lago di sangue”, l’arrivo dei soccorritori e poi della volante della polizia e le successive indagini dell’epoca da parte del commissariato di Chiavari e della squadra mobile di Genova sono state al centro della seconda udienza del processo per l’omicidio di Nada Cella, la giovane segretaria ammazzata nello studio del commercialista Marco Soracco il 6 maggio 1996 in via Marsala a Chiavari. Per il delitto è imputata per omicidio aggravato Annalucia Cecere (difesa dall’avvocato Giovanni Roffo) mentre Soracco e la madre (difesi da Andrea Vernazza) sono a processo per favoreggiamento. Nessuno degli imputati era presente in aula.
Dalle testimonianze degli investigatori dell’epoca, in particolare da quella dell’allora capo della mobile Giuseppe Gonan e del dirigente del commissariato di Chiavari Pasquale Zazzaro è emerso anche in aula, ciò che la pm Gabriella Dotto sostiene da tempo, vale a dire che l’indagine su Annalucia Cecere, condotta dai carabinieri e fatta chiudere dopo solo 5 giorni dal pm Fabrizio Gebbia, non era nota alla polizia che seguiva la pista Soracco (a lungo indagato per l’omicidio e poi archiviato). E men che meno il fatto che i militari dell’Arma, che arrivarono a Cecere grazie a un donna che all’inizio volle restare anonima ma che sarà chiamata a testimoniare nel processo in corso dopo 29 anni, a casa di Cecere sequestrarono alcuni bottoni molto simili a quello trovato sulla scena del crimine.
“Io non ho mai saputo dell’indagine dei carabinieri – ha detto senza esitazioni Giuseppe Gonan, che guidava all’epoca la squadra mobile di Genova che arrivò a Chiavari quella mattina – e in particolare se parliamo del ritrovamento dei bottoni e del fatto che i carabinieri avessero fatto una perquisizione a una donna non l’ho mai saputo all’epoca. Ne sono venuto a conoscenza solo quando è cominciata l’inchiesta che ha portato all’odierno processo” ha ribadito rispondendo alle domande della pm Dotto e dell’avvocata di parte civile Sabrina Franzone.
Più confusa, e non solo su questo aspetto, la testimonianza di Pasquale Zazzaro.

Quando era stato sentito dalla Procura nel 2021, Zazzaro che era a capo del commissariato di Chiavari, aveva escluso categoricamente di aver mai saputo della pista seguita dai carabinieri. Oggi ha spiegato invece, tra molti non ricordo, che “Avevamo avuto sentore, da parte del personale sul territorio, che c’era anche un’indagine dei carabinieri. Così lo chiesi al pm e lui mi ha confermato che c’era un’ipotesi investigativa relativa a una donna che sarebbe stata vista nella zona di via Marsala mentre si allontanava a bordo di un motorino. Ricordo un certo malessere da parte nostra circa il fatto che non ci aveva informato di quest’indagine”. Zazzaro sostiene quindi di averlo saputo “prima che fosse archiviata” (archiviazione chiesta il 30 maggio, ndr) ma in quel momento non conoscevano il nome della donna.
Il pm di allora non sarà chiamato in aula a spiegare il mancato coordinamento delle indagini
Dalle testimonianze non emerge il perché Gebbia non abbia comunicato ai titolari dell’indagine principale (la polizia) dell’inchiesta parallela, e soprattutto dei bottoni, che potevano rivelarsi fondamentali per la comparazione e che invece il 22 giugno furono restituiti a Cecere. E Gebbia non sarà sentito come testimone in questo processo. D’altronde, come ha fatto capire il presidente Cusatti, questo non è un processo alle indagini dell’epoca bensì un dibattimento che deve stabilire se sia provato che Cecere è l’assassina.
Tuttavia, non può non colpire che, qualche settimana più tardi dell’archiviazione di Cecere, anche la polizia era arrivata in qualche modo a lei. Nell’ambito delle sue indagini il commissariato di Chiavari aveva saputo che l’avvocato Gianluigi Cella (solo omonimo e non parente di Nada), il 15 maggio aveva ricevuto una telefonata anonima da una donna che diceva di avere visto “Anna intenta a partire con il proprio motorino parcheggiato in via Marsala dinanzi al negozio Casella” “Anna abita in Corso Dante” (…) “aveva un’espressione del viso sconvolta” Il 17 giugno la Polizia, incrociando i dati in possesso (motorino, Anna, Corso Dante), aveva accertato presso la motorizzazione, che solo due donne erano intestatarie di targa da ciclomotore. E una delle due donne era Annalucia Cecere. Ma non furono fatti ulteriori accertamenti su Cecere, come ha confermato Zazzaro stamattina.
Frate Lorenzo e il “segreto confessionale”
Nella testimonianza di Gonan è emerso anche il ruolo che sembra aver avuto il convento di Chiavari nel tenere un silenzio quasi omertoso sulla vicenda. Gonan ha raccontato in aula che si dovette scontrare contro “il segreto confessionale opposto da frate Lorenzo”. Alla polizia era arrivata una informazione su una persona che si era rivolta al frate per “fare da intermediaria su un’altra persona che voleva parlare del delitto”. Il dirigente si recò personalmente in convento ma appunto all’inizio non gli volle dire nulla. Frate Lorenzo è citato tra i testimoni del processo.
Che le indagini non sarebbero state semplici comunque Gonan lo aveva capito sin dall’inizio: “quando entrai nello studio di Soracco – ha spiegato – vidi quello che era già un disastro: la scena era completamente alterata dai soccorsi, all’ingresso c’era acqua mescolata a sangue perché la Bacchioni aveva iniziato a pulire”. Su Soracco ha spiegato: “Aveva i vestiti completamente puliti, ero rimasto stupito perché era freddo, calmo e molto presente a stesso”.
Per il resto pure l’ex capo della mobile sembra non ricordare alcune cose importanti, come la telefonata dell’anonima a casa di Bacchioni in cui viene fatto il nome di Cecere o ancora la telefonata intercettata di Cecere a Soracco in cui lei finita sotto inchiesta. “Non me le ricordo” ha detto.
Molto peggio Zazzaro che è stato anche ripreso seppur bonariamente dal presidente della Corte d’assise Massimo Cusatti visto che non sembrava ricordare con precisione quasi nulla dell’inchiesta che ha condotto. “D’accordo che sono passati quasi 30 anni, dottore, ma una ripassatina no?”.
La perizia sulle intercettazioni: c’è anche quella tra Soracco e il suo avvocato
La prossima udienza è stata fissata tra due settimane ma sui prossimi testimoni regna l’incognita della perizia affidata questa mattina su intercettazioni telefoniche e ambientali. Una settantina di documenti audio tra trascrivere. La perizia comincerà il 24 febbraio e dovrà essere consegnata entro l’inizio di giugno, E fino ad allora non sarà possibile per l’accusa chiede conto ai testimoni di quanto contenuto nelle intercettazioni.
Tra le intercettazioni ammesse dalla Corte d’assise c’è la telefonata del 31 maggio 1996 di Soracco con il suo avvocato dell’epoca, Massimo Ansaldo. Una telefonata in cui il commercialista racconta al suo legale che la misteriosa donna di cui si parla sui giornali è “l’amica del corso di ballo”, cioè Annalucia Cecere, oggi imputata per l’omicidio. Per i giudici la telefonata – che appunto dovrà essere trascritta da un perito – può essere acquisita perché il contenuto non appare legato all’allora veste di Soracco di indagato e quindi al “mandato difensivo del legale” ma sembra più una “conversazione tra amici”. .