Genova. La giudice per l’udienza preliminare Caterina Lungaro ha rinviato a giudizio Salvatore Vetrano, il “re dei surgelati” di Palermo, ritenuto vicino a Cosa Nostra e arrestato un anno f. Con lui a processo andranno anche gli altri imputati, con due eccezioni: Sebastiana Germano, che ha chiesto di essere giudicata in abbreviato e Giuseppe Licata la cui posizione era stata stralciata a causa di un infortunio ma il procedimento a suo carico potrebbe essere ricongiunto a dibattimento. Per tutti gli altri il processo comincerà il 7 maggio. Tra gli imputati c’è il suocero di Vetrano, Pietro Bruno, boss legato a Totò Riina.
Bruno, aveva scritto il gip, è il “reggente della consorteria mafiosa di Capaci/Isola delle Femmine, organica al “mandamento” palermitano di San Lorenzo, già detenuto presso il carcere di Marassi”. il pm della Dda Federico Manotti aveva chiesto il rinvio a giudizio anche per la moglie di Vetrano, Anna Bruno (difesa dalle avvocate Laura Razetto e Laura Liguori), per l’imprenditore ittico genovese Mauro Castellani (difensori Eleonora Rapallini e Francesco Iacobelli).
Vetrano (difeso dagli avvocati Razetto e Alessandro Vaccaro) era stato estradato dalla Spagna ed è l’unico a cui i pm Federico Manotti e Giancarlo Vona contestano l’aggravante mafiosa. Per gli altri le accuse, a vario titolo sono associazione per delinquere, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione di fatture per operazioni inesistenti e omesso versamento Iva aggravati dalla transnazionalità.
A Pietro Bruno è contestata la ricettazione e la mancata comunicazione della variazione patrimoniale per persona sottoposta alla sorveglianza speciale. I pm, in particolare, gli contestano di non avere comunicato di avere a disposizione oltre 125 mila euro in contanti e sei orologi di lusso del valore di circa 136 mila euro. Inoltre, l’anziano avrebbe ricevuto, in più occasioni da Vetrano circa 280 mila euro in contanti. I finanzieri avevano trovato in casa di Licata circa tre milioni in contanti.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, l’associazione, attraverso società con sede in Spagna, Portogallo e Italia che avevano come amministratore di fatto e socio occulto Vetrano, ha messo in atto una serie di frodi Iva. In pratica veniva trasferito su “missing trader” (ditte cioè che omettevano il versamento dell’imposta applicata in fattura) il debito Iva derivato dalle transazioni garantendosi la possibilità di praticare prezzi al di sotto delle normali condizioni di mercato. Il denaro, provento delle fittizie intestazioni, veniva reimpiegato nelle società estere riconducibili a Vetrano.
Le società “cartiere” avrebbero emesso fatture per operazioni inesistenti per un imponibile complessivo pari ad oltre 31.665.000 euro. Due indagati sono accusati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti per aver utilizzato nelle dichiarazioni Iva fatture per operazioni inesistenti (per un imponibile complessivo di oltre 3.846.309 euro e un’Iva evasa di 395.408,00).
Quattro sono accusati di omesso versamento Iva per non aver versato oltre 1.346.000 euro. In pratica, le società iberiche risultano aver effettuato forniture intra-Ue, dunque non imponibili ai fini Iva, di prodotti ittici surgelati nei confronti delle società ‘cartiere’ italiane che a loro volta cedevano solo cartolarmente i prodotti ittici a clienti nazionali applicando l’aliquota Iva del 10%. Il cliente finale italiano ha conseguentemente acquistato i prodotti con applicazione dell’Imposta, maturando un credito Iva che non avrebbe maturato in assenza dell’interposizione della società ‘cartiera’ italiana che non versava alcuna imposta all’Erario e dopo un breve periodo di attività cessava di esistere per essere rimpiazzata da una nuova società schermo.