Genova. “Me lo ha detto diverse volte quando ci sentivamo al telefono che suo marito si arrabbiava perché non voleva che lei stesse al telefono e usasse i social. Anche l’ultima volta che l’ho sentita, due giorni prima che morisse, mi ha raccontato che il marito non le parlava”.
In aula questa mattina, davanti alla Corte d’assise di Genova nel processo in corso per la morte di Sharmin Sultana, è arrivata un’amica della 32enne trovata senza vita il 7 maggio 2023 sotto la finestra di casa in via Ferro a Sestri Ponente, dopo un volo di 8 metri.
Inizialmente era stato considerato un suicidio, ma le successive indagini dei carabinieri avevano portato alla luce liti furibonde con il marito principalmente legate alla gelosia dell’uomo, Ahmed Mustak, 44 anni oggi a processo per omicidio.
L’amica di Sharmin è arrivata da Mestre, dove risiede con il marito e dove “tanti anni fa viveva anche Sharmin, prima di venire a Genova”. Le due amiche erano rimaste in contatto: “Ci sentivamo al telefono e su whatsapp, lei a volte mi diceva che aveva litigato con il marito, che lui era nervoso e che non le parlava più, poi facevano pace. Pensavo succedesse come accade in tutte le coppie”. Sharmin si confidava con l’amica ma non troppo: “Mi diceva alcune cose, ma non tutto”. A domanda del pm Marcello Maresca ha confermato di aver detto ai carabinieri che “Una volta aveva minacciato di picchiarla” ma “non mi ha mai detto di essere stata effettivamente picchiata”.
Anche due giorni prima della morte di Sharmin si erano sentite. E qualche tempo prima le aveva raccontato un episodio che l’aveva scossa: “Mi aveva raccontato che di notte aveva visto l’ombra del marito sulla porta, che lei pensava che la controllasse per vedere se dormiva o se stava usando il cellulare per chattare con qualcuno”. Poi le ha detto di aver chiesto al marito cosa faceva in camera sua (la coppia viveva in stanze separate) e che lui le aveva risposto che stava cercando una crema.
Da quel 5 maggio non aveva più sentito Sharmin. “Il giorno che è morta ho sentito il fratello che la cercava al telefono e non la trovava ed era preoccupato, poi sono dopo alcuni giorni ho saputo che era morta”.
Questa mattina al processo il presidente della Corte d’assise Massimo Cusatti con un’ordinanza ha dichiarato inutilizzabili le dichiarazioni rilasciate ai carabinieri da parte del figlio più piccolo della coppia. Il bimbo, affetto da autismo e da un’altra grave malattia, non è stato mai sottoposto a un accertamento medico legale perché nessuna delle parti lo ha mai richiesto per cui non è possibile stabilire se le sue precedenti e drammatiche dichiarazioni (“Papà ha sbattuto la testa di mamma” aveva detto ai carabinieri) siano attendibili e le sue condizioni attuali sembrano consentire che sia sentito come teste.
Nella prossima udienza sono stati citati tre testimoni, ma due risiedono in Germania e una terza in Svezia. La donna, Rahky Hossein, in particolare ha avuto un ruolo chiave nell’indirizzare le indagini perché dopo la morte di Sharmin si era messa in contatto con il centro antiviolenza Mascherona spiegando che l’ipotesi di un suicidio non era verosimile e che Sharmin era contenta perché il giorno in cui è morta avrebbe dovuto sostenere un colloqui di lavoro. Le aveva però anche detto che il marito non era contento di questo e che la situazione in casa andava sempre peggio e per questo i due dormivano in stanze separate.