Genova. “Li ho sentiti litigare, non spessissimo ma diverse volte. Anche la mattina in cui Sharmin è morta hanno litigato. Ho sentito uno schiaffo”. A parlare in aula davanti alla Corte di assise di Genova è un uomo di origine cilena, vicino di casa di Sharmin Sultana e del marito Ahmed Mustak, a processo con l’accusa di aver buttato la moglie dalla finestra e di avere poi inscenato il suicidio per depistare le indagini.
Mustak, 44 anni, operaio in subappalto per la Fincantieri di Sestri Ponente, è accusato di omicidio volontario e maltrattamenti in famiglia.
Sharmin Sultana il 7 maggio 2023 era stata trovata senza vita sotto la finestra di casa in via Ferro a Sestri Ponente. Era morta sul colpo dopo un volo di 8 metri. Inizialmente era stato considerato un suicidio, ma le successive indagini dei carabinieri avevano portato alla luce liti furibonde con il marito principalmente legate alla gelosia dell’uomo, alcune in presenza dei figli piccoli. Ed era stato proprio uno dei figli, in audizione protetta con gli psicologi, a riferire dettagli fondamentali per l’inchiesta.
Il bimbo 9 anni, aveva infatti raccontato delle violenze che la mamma subiva dal padre e che lui stesso collegava – come la sorellina – al fatto che la donna “stesse al cellulare”. Un racconto drammatico che, secondo l’accusa, confermerebbe anche che i bambini avrebbero assistito all’omicidio: “Papà ha sbattuto la testa di mamma”, “si perché la mamma guardare sempre il cellulare”, “mamma è morta“. E alla domanda se avesse poi visto la mamma cadere dalla finestra aveva risposto di “sì”.
Musthak era stato arrestato nove mesi dopo il delitto, a dicembre, dai carabinieri coordinati dal sostituto procuratore Marcello Maresca. Nel corso delle indagini aveva cambiato versione sostenendo che la donna era caduta dopo una lite ma che non voleva ucciderla.