Recensione

Carlo Felice esaurito per La Traviata: convincono cast e direzione, divide la regia fotogallery

Ben sei le repliche (sino a domenica 19 gennaio) per una delle opere più note e rappresentate al mondo

traviata

Genova. Applausi convinti a cast e direttore, mentre divide l’allestimento (rivisto rispetto alle edizioni del 2016 e del 2018) con la regia di Giorgio Gallione. Questa l’accoglienza alla prima della Traviata in un Teatro Carlo Felice tutto esaurito. Ben sei le repliche (sino a domenica 19 gennaio) per una delle opere più note e rappresentate al mondo.

La Traviata è ispirata alla Signora delle Camelie di Alexandre Dumas figlio, un titolo, tra l’altro, visto in prosa di recente al Teatro della Tosse in un’interpretazione originale della storia vera dell’infelice storia d’amore tra lo stesso Dumas e la cortigiana Marie Duplessis (raccontata nel romanzo con i nomi di Armando Duval e Margherita Gautier). Qui i protagonisti sono Violetta Valery e Alfredo Germond, ma la storia è la stessa con lei, malata di tisi, costretta dal padre di lui a lasciare l’uomo con cui vorrebbe finalmente avere una storia normale, a causa della vita al di sopra delle possibilità finanziarie e anche della fama di lei.

Il Carlo Felice prosegue così nella condivisibile filosofia di alternare titoli meno noti e decisamente interessanti, al repertorio più conosciuto però sempre con scelte registiche originali e in molti casi discusse. Stavolta tocca a Verdi e a uno dei titoli della cosiddetta trilogia popolare alla sua Amore e morte come voleva in origine chiamarla. Di sicuro Gallione esalta i due aspetti, soprattutto il secondo, permeando già il primo atto di ciò che inevitabilmente accadrà. Già nel preludio si assiste a ciò che succederà più avanti, con il dottor Grenvil che idealmente dà il via a tutto e comparirà, silente, sulla scena in alcuni momenti-chiave della rappresentazione, addirittura sostenendo la povera Violetta.

Il coro, autore di una buona prova, è però smorzato nelle due feste (primo e secondo atto) da vestiti neri, maschere, proprio a sottolineare l’aspetto più tragico dell’opera anche in quelli a cui spesso ci si è abituati come i momenti di maggiore colore. Gallione, paradossalmente, è più vicino al sentire del testo di Dumas stesso, permeato da una grande malinconia.

Parecchi gli inserti coreografici, a cura di Deos (Danse Ensemble Opera Studio, nato nel 2013 come progetto sperimentale all’interno della Fondazione Teatro Carlo Felice da un’idea del coreografo Giovanni Di Cicco e delle direzione artistica e poi con residenza al Teatro del Ponente), in prima esecuzione assoluta, che hanno seguito la trasposizione registica in una contemporaneità molto fredda (in scena non c’è neanche il letto su cui di norma si sdraia Violetta negli ultimi istanti) anche nei movimenti che nel primo atto ricordano quelli del video di Around the world dei Daft Punk e si fanno quasi disarticolati nel finale, quando una delle tre ballerine viste all’inizio, dà corpo alla sofferenza della stessa Violetta nel terzo atto. E così le zingarelle diventano dei corpi senza volto, incappucciate da un costume interamente in strass rosso con le frange e prive dei tamburelli con cui di norma accompagnano la musica. La parte dei mattadori ha una trovata ancora più provocatoria con uno dei ballerini, abilissimo sui tacchi, che trasforma le scarpe nelle corna del toro. Nel finale scheletri con ali da pipistrello e maschere da medico della peste assistono alla tragica morte.
Delle scelte registiche forse l’unico aspetto da noi ritenuto davvero troppo eccessivo è stata la furia ripetuta di Alfredo nel gettare i soldi a spregio addirittura sotto la gonna di Violetta.

La scena (di Guido Fiorato) è spoglia, ma oggettivamente d’effetto: un pavimento scuro marmorizzato caratterizza tutti e tre gli atti, un enorme scheletro di albero bianco, con delle candele sui rami rompe, letteralmente quella lastra che si può immaginare essere l’immobilità delle convenzioni sociali presente nella Parigi dell’epoca. Quell’albero, rappresentato da Violetta stessa, non regge fino alla fine e crolla, lasciando una voragine incolmabile come si vede nel grande specchio inclinato che caratterizza l’ultima parte della rappresentazione.
Alle spalle di tutto un telo che cambia colore dal blu, al viola al rosso a seconda dei momenti dell’opera. Nel secondo atto un tappeto di mele rosse caratterizza i momenti dell’amore con Alfredo e il confronto con Giorgio Germond, il padre.
Splendide le luci di Luciano Novelli, che esaltano quel bianco e nero voluto da Gallione per esaltare l’assenza di compromessi con cui Violetta ha vissuto la sua vita (presente anche nei costumi, sempre di Guido Fiorato) e che, con un artificio intelligente, tingono di rosso l’abito di lei per mostrare la costante presenza della malattia.

Il maestro Renato Palumbo ha amplificato tutto questo, esaltando gli aspetti drammatici: “La malattia è presente dalla prima all’ultima nota – aveva detto nella conferenza stampa − e l’atteggiamento di Violetta è perché sa che ha una vita in scadenza. Una donna di un carisma eccezionale, che sceglie l’amore e definire cortigiana è riduttivo. Verdi l’ha resa immortale. Lei è l’unico personaggio e l’opera è di una semplicità assoluta e raccontarla è molto difficile. Il mio obiettivo è renderla moderna, visto che lo era già allora”. Palumbo è stato ineccepibile nel guidare cantanti e orchestra in tutte le sfumature del drammatico.

Molto bene tutto il cast: Carolina Lopez Moreno, al suo debutto a Genova, è stata una Violetta vocalmente ineccepibile e di forte presenza scenica, ma anche delicatissima nelle parti dove richiesto. Francesco Meli è di una generosità unica e la sua voce riempie il teatro come capita solo quando c’è lui. Roberto Frontali ha dato vita a uno dei momenti più toccanti dell’opera nello scontro con Violetta trasmettendo emozioni con la voce al pubblico che lo ha particolarmente apprezzato. Bene anche gli altri: Carlotta Vichi (Flora), Chiara Polese (Annina), Roberto Covatta (Gastone), Claudio Ottino (Barone Douphol), Francesco Milanese (Dottor Grenvil), Giuliano Petouchoff (Giuseppe) e Filippo Balestra (Commissionario).

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