Recensione

Il Cappello di Paglia di Firenze al Teatro Carlo Felice piace e diverte

Una farsa brillante e con una regia che asseconda il ritmo da commedia degli equivoci

cappello paglia firenze

Genova. Quando si esce da teatro canticchiando uno dei motivetti dell’opera appena ascoltata significa che la proposta, soprattutto se non si tratta di un classico da repertorio, è vinta.

Applausi, senza ovazioni di sorta, ma anche qualche apprezzamento a scena aperta ieri sera alla prima del Cappello di Paglia di Firenze di Nino Rota al Teatro Carlo Felice, nuova versione dell’allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova in collaborazione con l’Opéra Royal de Wallonie-Liège. Intrighi, equivoci e umorismo alla francese per una trama che ha appunto nel cappello da trovare il fulcro della questione.

Fadinard, nel giorno delle sue nozze con l’amata Elena, passeggia con il suo cavallo, quando questi mangia il cappello di paglia di Firenze di Anaide, in dolce conversazione con l’amante Emilio.
Anaide pretende un altro cappello, per non far ingelosire il gelosissimo marito Beaupertuis. Fadinard allora va prima dalla modista, poi dalla baronessa di Champigny, che ne ha uno uguale. La baronessa però lo scambia per un violinista che doveva tenere un concerto, e trattiene Fadinard. Fadinard riesce a spiegare la situazione, ma la baronessa spiega che ha appena dato il suo cappello alla figlioccia: la signora di Beaupertuis.
Si reca allora da Beaupartuis, seguito dal padre di Elena, Nonancourt, e dagli invitati, al barone, che si è insospettito per l’assenza della moglie.
Tuttavia Fadinard capisce che la signora di Beaupertuis è Anaide. Il futuro suocero minaccia di mandare a monte le nozze, e, quando tutto sembra perduto, arriva lo zio sordo Vézinet, che presenta il suo regalo di nozze: un cappello di paglia di Firenze. Anaide può così tornare a casa, e Fadinard può sposare Elena.

L’opera è tratta dalla commedia Un chapeau de paille d’Italie di Eugène Labiche e Marc Michel del 1851. Nino Rota la adattò nel 1945 insieme alla madre Ernesta Rinaldi, che curò il libretto. La musica segue il ritmo della commedia, con alcuni momenti pregevoli.

Grazie alla scenografia rotante Paolo Fantin il regista Damiano Michieletto (aveva proposto questo allestimento nel 2007, era la sua prima regia lirica, e di strada ne ha fatta parecchia) dà vita a un continuo tourbillon di situazioni come l’opera vuole mantenendo la fluidità della narrazione. Sulla scena solo la piattaforma che però cambia in continuazione grazie alle luci di Luciano Novelli (bianche, azzurre, verdi) e allo spostamento delle pareti, tutte con doppie porte, che garantiscono la rivelazione o meno dei segreti nelle varie stanze. Il violinista Minardi viene invece sistemato direttamente in platea, a sorpresa. Elegantissimi i costumi di Silvia Aymonino, con una menzione per quello della modista e della baronessa di Champigny.

Nel cast spiccano le conferme di Nicola Ulivieri (Nonancourt) e di Benedetta Torre (Elena), il Fadinard di Marco Ciaponi è particolarmente riuscito nella recitazione, meno nella personalità vocale, idem la baronessa di Sonia Ganassi. Dal punto di vista di equilibrio con i volumi dell’orchestra alcune scene sia singole sia di assieme avrebbero potuto rendere meglio. Tutto è migliorato nel secondo atto. La direzione di Giampaolo Bisanti è stata comunque adeguata a esaltare una partitura davvero gradevole all’ascolto.

Repliche domenica 15 dicembre alle 15 e martedì 17 alle 20.

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