Genova. Si potrebbe dire che il futuro dell’acciaio a Genova è nelle lattine. In Italia se ne consumano 800mila tonnellate all’anno e l’unica fabbrica a produrre la banda stagnata è proprio quella di Cornigliano, che copre solo il 15% del fabbisogno nazionale: tutto il resto deve essere importato. Parte da questi dati la proposta presentata oggi da Federmanager in un convegno organizzato alla sala Quadrivium per il futuro industriale dell’ex Ilva. Ma non solo. C’è una parola che nessuno ormai ha più paura di pronunciare ed è forno elettrico: un impianto che permetterebbe non solo di raggiungere l’indipendenza da Taranto, ma anche di riciclare la latta e avviare nuova produzione a partire dai rottami.
Come ricordato da Livio Grasso di Federmanager, il sito di Cornigliano è in grado di lavorare materiali con spessori estremamente sottili, raggiungendo 0,14 millimetri: “È a metà tra la meccanica di precisione e la siderurgia tradizionale”. La banda stagnata e cromata è utilizzata al 34% per il settore alimentare (ad esempio le scatolette di tonno), al 25% per i tappi, all’11% per le lattine delle bevande. Da Genova la banda stagnata viaggia soprattutto verso la Pianura Padana e la Campania, dove si trovano quasi tutti gli scatolifici.
Il paradosso è che, con l’attuale produzione, la latta uscita dagli impianti di Genova è del tutto insufficiente a soddisfare il mercato italiano. “Nell’ultimo triennio – spiega Grasso – l’Europa ha importato da Paesi extra Ue mediamente circa un milione di tonnellate annue di banda stagnata. L’Italia risulta il maggiore importatore europeo, con oltre 500mila tonnellate annue”. Da qui la logica conclusione: ci sono tutti gli elementi per decidere di investire su Cornigliano. La sfida è riuscire a separare lo stagno dall’acciaio, recuperabile al 100%, per permettere il riciclo completo: “Nei prossimi giorni verrà attivato un nuovo impianto con una tecnologia per il superamento dell’utilizzo di cromo esavalente nella passivazione della banda stagnata“. Ma in futuro, insieme alla ricerca sui processi di detinning (ottenimento di stagno puro), bisognerà pensare a installare un forno elettrico per la completa circolarità produttiva.
Intanto il 10 gennaio 2025 scade il termine per le offerte vincolanti sugli impianti di Acciaierie d’Italia. “Sulle singole soluzioni è chiaro che bisogna vedere il mercato, senza sbilanciarsi, perché bisogna vedere cosa diranno le offerte proposte dai vari player – spiega Luca Barigione, presidente di Federmanager Liguria – però è chiaro che Genova ha un suo ruolo, ha delle sue competenze. Siamo un centro della siderurgia con competenze dall’impiantistica alla progettazione di livello elevatissimo, quindi l’importante è coinvolgerci nella valutazione delle proposte che arriveranno. C’è spazio per riprendere volumi di produzione, volumi di occupazione come quelli antecedenti. Serviranno investimenti, serviranno azioni, ma Genova è un punto su cui si può sviluppare, innovare e riprendere il tessuto economico a ottimi livelli”.
Del resto, nelle scorse settimane era stata la Fiom a riproporre l’idea del forno elettrico al tavolo di Novi Ligure, ipotesi già caldeggiata dal ministro Adolfo Urso e benedetta pure dal presidente ligure Marco Bucci all’ultima assemblea regionale di Confindustria. E oggi il consigliere delegato Alessio Piana – futuro assessore della giunta Bucci – insiste sul concetto: “Le notizie sul forno elettrico e sulla produzione a caldo hanno già destato preoccupazioni dettate dal fatto che per molti queste parole sono associate a un ritorno al passato che non vuole nessuno, in primis i lavoratori, ai quali dobbiamo garantire le migliori condizioni possibili. Poneteci in condizioni – ha detto rivolgendosi a manager e sindacati – di spiegare alle persone cosa significa oggi lavorazione a caldo, i parametri ambientali da perseguire, l’aumento della lavorazione della latta ed eventualmente la presenza di un forno elettrico”.
Armando Palombo, delegato della Fiom a Cornigliano, ricorda che anzitutto servirà “chiarezza politica” da parte europea sulla politica siderurgica e dice no a “istanze protezionistiche che rafforzano i venti di guerra”. Ma in ogni caso “è certo che non ci opporremo ad alcun piano industriale che non leda le condizioni occupazionali, la dignità del lavoro e la salute dei lavoratori. Nelle aree di Cornigliano vincolate dall’accordo di programma del 2005, che destina gli spazi all’industria siderurgica, che venga fatta un’acciaieria verde, colata continua, treno nastri o più semplicemente il raddoppio della banda stagnata, ci sarà sempre il nostro appoggio“.
Il forno elettrico con ciclo integrale è “fattibilissimo”, secondo Paolo Olmari della Fim Cisl: “Abbiamo delle aree dove a tutti gli effetti si può iniziare a pensare alla realizzazione di un area a caldo green, perché è importante che nel gruppo più grande d’Europa ci sia una doppia capacità produttiva a caldo, viste le richieste del mercato attuali e quelle future. Gli investimenti e la realizzazione di nuovi impianti costituirebbero una buona ripartenza produttiva, con assunzioni di giovani e lavoro per l’indotto con un importante ricaduta economica per la nostra città”. Mentre Mauro Micheli della Uilm mette il dito in quella che è la vera piaga della questione: “Per fare l’acciaio green ci vogliono le centrali nucleari: con l’eolico e il solare non andiamo da nessuna parte”. E poi lancia l’idea di uno scatolificio sulle aree di Cornigliano, per mantenere la vocazione industriale.
A proposito di aree: dopo il valzer degli ultimi anni sulla possibile revisione dell’accordo di programma – con l’assessore comunale Mario Mascia a ricordare anche oggi che “c’è la fila” per accaparrarsi un pezzo di quell’enorme spianata sul mare – la posizione di Federmanager è piuttosto netta: “Ogni tanto ci sono tentativi di fuga in avanti – interviene Barigione – ma queste aree hanno una vocazione prettamente industriale e ci sono tutti gli spazi per occuparle nel modo migliore possibile da un punto di vista industriale, quindi con attività produttive industriali. Certamente non vanno distolte per altri utilizzi con un basso tasso di occupazione al metro quadrato. Poi possono esserci altre attività produttive, pensiamo ad Ansaldo Energia: è l’esempio palese di come si possano insediare altre attività che però sono in qualche modo accomunate dallo stesso tema”.
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