Genova. “Valorizzazione non significa monetizzazione o sfruttamento, ma condivisione e formazione. E abbiamo bisogno dei migliori per farlo”. Si può riassumere così il pensiero di Giacomo Montanari, storico dell’arte e coordinatore del Tavolo della Cultura del Comune di Genova: c’è anche lui tra gli ideatori e promotori di d:Cult, primo e attualmente unico corso di alta formazione in Italia dedicato alla divulgazione scientifica del patrimonio artistico e culturale.
Il corso è promosso dalla Scuola Ianua dell’Università di Genova, in partnership con Fondazione Edoardo Garrone, Fondazione Friends of Genoa, Fondazione Passadore 1883 e Camera di Commercio di Genova. Obiettivo, formare i divulgatori culturali del futuro, i giovani esperti cui sarà affidato il compito di raccontare e valorizzare il patrimonio artistico e culturale italiano. Ventiquattro in totale gli iscritti alla prima edizione, tutti under 35 e selezionati tra 60 candidati totali, provenienti da ogni parte d’Italia e con background ed esperienze anche molto diverse tra loro: c’è chi si è specializzato in archeologia, chi in storia dell’arte, chi antropologia, chi storia.
In una prima edizione condensata in due mesi, i corsisti parteciperanno a 250 ore di lezione affidate a 35 docenti di alto profilo, spostandosi tra alcune tra le più importanti location culturali genovesi: la biblioteca Berio, il complesso di Santa Maria di Castello (che ha ospitato la prima “lezione”, quella di presentazione, aperta al pubblico), il Museo Diffuso Albisola, e poi Palazzo Ducale, Palazzo Grimaldi, Palazzo Spinola e Palazzo della Meridiana.
L’obiettivo dell’intensivo piano didattico è formare giovani in grado di diventare veri e proprio divulgatori scientifici della cultura, una figura innovativa e ancora poco formalizzata in Italia, in grado di creare mediazioni efficaci tra la ricerca scientifica, in particolare storica e storico-artistica, e un pubblico ampio, diversificato ed eterogenea. Un modello già sperimentato in dieci anni di Rolli Days, e una professione resa negli ultimi anni “mainstream” da alcune figure diventate popolarissime soprattutto tra i più giovani, da Piero e Alberto Angela ad Alessandro Barbero.
“Questo corso è il primo nel suo genere in Italia, un po’ una sperimentazione. È incardinato nella scuola di Alti Studi Ianua dell’Università di Genova – spiega Montanari – Abbiamo ragazzi che vengono da tutta Italia, sono rappresentate sette regioni e il nostro programma formativo è incentrato sulla sfida della divulgazione scientifica, la ‘terza missione’, come l’hanno chiamata gli atenei. Questo perché dopo la ricerca didattica c’è la divulgazione scientifica: dobbiamo formare professionisti capaci di comunicare il sapere, non semplificandolo, ma distillando la conoscenza per renderla chiara, corretta e accessibile a tutti”.
Impossibile non andare con la mente al già citato Alessandro Barbero, le cui lectio sono sempre seguitissime e sono diventate anche un podcast tra i più seguiti sulle principali piattaforme. Proprio in questi giorni ha annunciato l’intenzione di rinunciare all’incarico di docente universitario e di concentrarsi sulla divulgazione. Gli va riconosciuto il merito di avere trasformato la divulgazione culturale in un ‘fenomeno pop’?
“Intanto voglio ringraziare Alessandro Barbero, che è stato di recente a Genova per i Rolli e per Genova nel Medioevo e che è un amico e collega, straordinario professionista – riflette Montanari – Credo che il punto sia che Barbero e pochi altri sono stati lasciati soli. Nessuno tra i professionisti si è preso la responsabilità e il desiderio di provare a comunicare a tutti il valore fondamentale e il nutrimento imprescindibile che è la cultura per la vita delle persone. Penso che lui abbia aperto una grande strada, è chiaro che non tutti dobbiamo seguirla riempiendo i palasport: l’obiettivo non è la visibilità personale, ma la costruzione di figure di mediazione tra professionisti e società”.
In loro assenza, conclude Montanari, il rischio è che si ceda il passo a chi non è in grado di comunicare il vero messaggio: “Sopratutto per le materie umanistiche, si rischia che non ne venga percepita l’importanza o che vengano ‘usurpate’ da persone più che altro appassionate, che trovano vuoto il campo. Noi non vogliamo comunicatori di professione, persone che imparano una parte e la recitano, ma professionisti in grado di comunicare ed entrare in relazione con gli altri. Professionisti capaci di trasmettere la necessaria vicinanza al patrimonio che spesso le persone non sentono”.