“Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e verso le 9 ho avuto la sensazione d’un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. Sai, la sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e tendi le orecchie e gridi a chi ti sta accanto: «Down! Get down! Giù! Buttati giù». L’ho respinta. Non ero mica in Vietnam, mi son detta. Non ero mica in una delle tante e fottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita. Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre. L’11 settembre 2001. Ma la sensazione ha continuato a possedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la TV. L’audio non funzionava. Lo schermo, sì. E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedevi una torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero.” In molti avranno riconosciuto la testimonianza di Oriana Fallaci sull’evento “storico” dell’11 settembre. Non ci occupiamo dell’immensa bibliografia e filmografia e saggista intorno all’accaduto e, soprattutto delle indagini più o meno storiograficamente ortodosse al riguardo, quanto piuttosto del ruolo della cosiddetta “memoria storica”. Intanto è indispensabile provare a definire il concetto: credo sia lecito l’attributo di storico a un ricordo che trascende l’esperienza individuale e si radica nel ricordo di un soggetto connettendolo profondamente con un contesto che lo trascende e lo colloca come spettatore-protagonista di accadimenti di portata molto più ampia del personale e privato e che incidono profondamente sulla storia collettiva.
La memoria individuale che si trasforma in documento, in testimonianza è da ritenersi un fatto storico o la possibilità di determinare lo stesso? L’esempio della citazione d’apertura ci offre un interessante spunto di riflessione; la giornalista Oriana Fallaci che era a New York in quel momento, può essere ritenuta testimone attendibile e utile alla comprensione dell’evento? Le polemiche sorte dopo la pubblicazione del suo “La rabbia e l’orgoglio” potrebbero essere la prova di quanto ogni narrazione di un fatto possa essere prospetticamente soggettiva tanto quanto i più o meno pregiudiziali commenti alla stessa. Ricavare il “fatto in sé” da una testimonianza finisce per avvilirla a determinazione spazio temporale di un accadimento, raccoglierne l’emozione partecipata del soggetto e dell’ascoltatore può essere pericoloso per la ricerca della presunta “verità storica”. Accade poi che il ricordo del ”testimone oculare” si vada a ridefinire nel tempo e a ogni narrazione dello stesso. Mi tornano alle orecchie i racconti di mia nonna sul fatto che suo padre, non vedente, raccontasse barzellette al vetriolo sui gerarchi fascisti radunando spesso numerosi ascoltatori divertiti, lei lo descriveva come un vecchio socialista libertario, ne era orgogliosa non tanto come pensatore e antagonista al sistema di potere, quanto come uomo che sapeva ridere di tutto e di tutti senza paura. Mi raccontava anche di un giorno in cui addirittura il Podestà fu testimone dello spettacolo prodotto da suo padre nella “corte grande del paese” e di come il terrore abitasse ogni partecipante che non poteva nemmeno avvisare suo padre dell’inquietante presenza; la conclusione fu che il “fascistone” di turno si allontanò limitandosi a un “stai attento a chi ti ascolta vecchio matto”. Cosa ricavare dalla memoria storica di una bambina che riportava un evento lontano mezzo secolo? Che il potere è sempre in agguato? Che il fascismo ha terrorizzato intere generazioni? Che alcuni potenti sanno ridere di se stessi? Che in fondo i fascisti non erano poi così cattivi? Credo sia determinante la volontà interpretativa di chi sta raccogliendo la testimonianza.
Lo studio della storia dovrebbe sollevare l’orizzonte critico dell’intellettuale sopra e oltre la volontà di auto confermarsi nelle proprie opinioni, così come offrire al testimone la possibilità di collocare intelligentemente la propria esperienza soggettiva in un più ampio contesto gnoseologico. Tornando all’aneddotica famigliare, rammento le mie discussioni con mio padre quando, giovane studente universitario, mi sentivo apostrofare con affermazioni del tipo: “Ma che ne vuoi sapere tu della seconda guerra mondiale, io l’ho combattuta”. Come contraddirlo, in effetti era partito diciottenne per l’Africa, aveva vissuto le sconfitte italiane e tedesche, poi trascorso anni in prigionia nei campi di raccolta inglesi, io avevo solo studiato in differenti approfondimenti le cause socio economiche e geo politiche del conflitto, le strategie militari, le dinamiche relazionali fra alleati, insomma, la ricerca che ogni studente dei corsi di storia era tenuto a effettuare a quei tempi, chi poteva affermare di essere in grado di argomentare adeguatamente su quell’immensa tragedia planetaria? Comunque non credo che essere stato un adulto attento agli avvenimenti della propria attualità mi garantisca in qualche misura come giudice competente nei confronti dell’11 settembre così come ho avuto bisogno di tempo, ricerca e verifica degli eventi conseguenti dopo aver esultato per la caduta del muro di Berlino. A questo riguardo credo sia determinante il ruolo dei media, che siano i quotidiani, oggi oramai meno determinanti, o le televisioni o, prepotentemente, i social, strumenti che tendono a produrre una “memoria collettiva” che è, a mio modo di vedere, l’anticamera di quella che potremmo definire “identità di gruppo”. La presenza sempre più preponderante dei social nella comunicazione e nell’informazione può liberare quest’ultima della volontà omologatrice del potere istituzionale ma, specularmente, frantumare il ricordo storico nelle infinite narrazioni personali che non sono in grado di produrre una profonda conoscenza dell’evento, è un po’ come se i ricordi di mio padre venissero collocati al livello dei saggi di Hobsbawm, con tutto il bene che gli ho voluto lo troverei poco utile all’intelligenza argomentata dell’evento.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
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