La storia

Un genovese nel cuore dell’IA: “Nuova rivoluzione industriale. Genova? Una promessa mancata”

Stefano Saliceti, partito da Coronata, oggi lavora in Google DeepMind: “Sì, sono un cervello in fuga ma in Italia tornerei subito ci fossero le opportunità”

stefano saliceti

Genova.  “Sì, mi considero un cervello in fuga, ma a Genova tornerei subito, ci fossero le opportunità che ci sono all’estero. I ricercatori italiani, così come le nostre università, sono molto rinomate nel mondo, ma le aziende sono tutte estere e non c’è storia, il mercato che c’è in Italia non è comparabile a quello che si trova fuori”.

Con queste parole Stefano Saliceti ci racconta la sua esperienza di ricercatore italiano espatriato inseguendo un sogno, divenuto poi molto concreto, di fare ricerca e lavorare nelle aziende al top a livello planetario. E’ partito da Genova, da Coronata per l’esattezza, e oggi è nel team di Google Deepmind, uno dei più attrezzati e all’avanguardia gruppo di ricerca per lo sviluppo della robotica con applicativi legati all’intelligenza artificiale.

Stiamo lavorando per risolvere la robotica – ci spiega – qui si lavora per capire l’interazione del mondo fisico per sviluppare l’intelligenza artificiale applicata alla meccatronica. E oggi l’IA ci sta facendo fare dei passi da gigante. Prima i robot dovevano essere programmati in ogni singolo movimento per fare tutto, oggi sono allenati grazie a grandi database che vengono utilizzati per capire cosa fare, confrontandosi con situazioni simili. Un po’ come facciamo noi. Oggi la robotica è il ponte tra il mondo virtuale e il mondo reale, riuscire a metterli in un dialogo che possa generare contenuti o azioni nuove non presenti in eventuali dataset su cui la macchina è stata allenata è la svolta”. Stefano, dopo anni di ricerca e lavoro è approdato nel cuore dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, e ne conosce anche i limiti, oltre che le potenzialità: “Parliamo di robot da moltissimi anni – scherza – ma l’unico robot che veramente ce l’ha fatta, è Roomba, vale a dire l’aspirapolvere che si muove in autonomia orientandosi nello spazio delle case”.

Ma la frontiera si sposta velocemente: “Oggi si lavora sulla HRI –  ci spiega – vale a dire quel ramo di studio che analizza e sviluppa la possibilità di far comprendere le azioni dell’uomo ai robot. Un passaggio che permetterebbe di bypassare tutta la programmazione e permetterebbe ai robot di apprendere direttamente”. E gli sviluppi potrebbero essere dirompenti: “Ci troviamo di fronte ad una nuova rivoluzione industriale – commenta  – riuscire ad applicare questo alla robotica industriale significherebbe automatizzare le linee di produzione, universalizzando i prodotti”.

Stefano oggi è nel cuore pulsante di questa rivoluzione, e forse neanche lui se lo aspettava: “Nato a Genova, qua ho fatto l’università e ho iniziato a capire la mia passione per le cose meccaniche ed elettriche”. Poi la svolta dell’Erasmus in Finlandia: “Anche con un bagaglio di 4000 parole di inglese si sopravvive e si può fare tanto. Nel 2006 inizio a lavorare per una azienda americana specializzata in macchinari per la radio terapia. Macchinari che abbiamo anche al San Martino. Da lì i continui viaggi tra Belgio, Italia e Usa: “Ma soprattutto in quegli anni ho conosciuto la mia futura moglie, Ona, con cui poi affronterò nuovi viaggi e cambi di programma”, ci tiene a sottolineare.

Nel frattempo a Genova nasce l’IIT e inizia ad attirare cervelli da tutte le parti del mondo, anche quelli in fuga dall’Italia: “Torno a Genova nel 2008. Una esperienza davvero importante e formativa in laboratorio con Giorgio Metta, ora direttore scientifico. Li ho iniziato a lavorare sulla robotica è ho capito che era la mia strada. Mi sono specializzato, abbiamo portato in giro per il mondo iCub, e soprattutto ho imparato tutto quello che mi è servito dopo”. La sua esperienza all’IIT però finisce nel 2016: “E’ stata come una promessa mancata – ci spiega – l’IIT è stata una grande intuizione che ha portato a Genova il meglio della ricerca, ma è rimasto un’isola, dimenticato dalla politica che doveva costruirgli attorno una rete di aziende, di investimenti, di opportunità”. 

stefano saliceti
Stefano Saliceti nei laboratori di DeepMind

Stefano però non si scoraggia, la sua voglia di crescere non si ferma e così dopo un passaggio a Barcellona per una azienda che produce robot umanoidi, tenta il salto della vita: “Ho provato una intervista presso DeepMind, c’erano migliaia di candidati. Nove mesi di selezioni e colloqui ma alla fine sono stato preso. Ha pagato la mia specializzazione, praticamente unica”. Nel 2023 poi la arriva la fusione con Google, che per Stefano significa entrare nel cuore della ricerca e affacciarsi sulla frontiera del futuro. “La nostra mission è quella di trovare e risolvere quegli algoritmi intelligenti al pari degli esseri umani, per affrontare i problemi ambigui come gli umani, basandosi sulla conoscenza del mondo che arriva drenando informazioni dal web”.

Una storia unica, quella di Stefano, che oggi può insegnare qualcosa: “Credo che ognuno di noi dovrebbe fare quello che gli piace e che lo interessa – ci risponde alla domanda banale ma sempre interessante sui consigli da dare ai giovani wannabe– chi vuole andare avanti deve specializzarsi, diventare il top nel proprio campo. Essere pronti. Oggi assumono per il machine learning? Allora non bisogna perdersi dietro a rincorrerlo, chi inizia oggi è già in ritardo”.

Sembra facile, non lo è. Stefano, partito da Coronata, strada ne ha fatta, seguendo, anche testardamente le sue aspirazioni. Un percorso vertiginoso, soprattutto se visto da qua, da quella Genova che nei vent’anni in cui Stefano costruiva il suo futuro, prometteva e progettava una rigenerazione che non è mai arrivata. Come per il polo tecnologico degli Erzelli, di cui si parla da vent’anni ma del quale si aspetta ancora la prima pietra. Nel frattempo il mondo è andato avanti, avantissimo, anche grazie a Stefano.

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