Genova. Il Genoa alla sesta giornata aveva sette punti l’anno scorso, cinque in questa stagione. Non un divario esagerato guardando solo i numeri e considerando che il campionato è lungo, ma ciò che è cambiato è tutto il contorno e il fatto che questo cambiamento sia avvenuto sia dentro, ma soprattutto fuori dal campo, è ciò che preoccupa di più i tifosi e mai come oggi l’assenza di un interlocutore che dica come stanno chiaramente le cose in via ufficiale fa tutta la differenza di questo mondo. Forse l’incontro che ci sarà il 3 ottobre alle 21 tra il ceo Blazquez e i rappresentanti dei club affiliati Acg potrà segnare uno spartiacque importante per il proseguio di una stagione che non è certo iniziata come i sostenitori rossoblù si attendevano. La sconfitta nel derby poi, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. A questo proposito e ipotizzando l’interesse enorme attorno a questo incontro, l’Acg comunica che alla luce della capienza della sala dell’Istituto Italiano della Saldatura, sarà ammesso solo un rappresentante per club (sono 133) e che per facilitare la partecipazione dei Club fuori Genova è previsto un collegamento online.
Il Genoa è retrocesso ‘solo’ due anni fa, nel maggio 2022, ma l’umore dei tifosi era probabilmente più alto di quello di oggi: si respiravano una compattezza e un entusiasmo che non si percepivano da anni. C’era una proprietà che aveva ammesso gli sbagli a livello di scelte tecniche (a partire da Shevchenko) promettendo però investimenti, il pronto rientro in Serie A e la voglia di riportare il Genoa in palcoscenici europei. La promessa era stata mantenuta (‘only one year’) e lo scorso campionato è stato un crescendo grazie a una squadra solida dal punto di vista difensivo e la consacrazione di alcuni elementi a partire da Albert Gudmundsson. L’exploit di abbonati e la vendita di Retegui e dell’islandese dopo la chiusura della campagna ha segnato la prima incrinatura nel rapporto con una proprietà che già dalla fine del campionato faceva buon viso a cattivo gioco (l’assenza di Josh Wander dalla solita passerella sul campo lasciava presagire che qualcosa non andasse) lasciando intendere che tutto fosse come prima mentre dagli Usa e da Londra arrivavano notizie allarmanti sulle cause plurimilionarie che coinvolgevano i 777 e il ‘commissariamento’, di fatto, da parte di A-Cap, che è uno degli investitori più esposti (genova24 ha già affrontato la questione qui, qui e qui). Da lì in poi è stata tutta discesa e non in senso positivo: le dichiarazioni di Zangrillo in tv hanno chiarito che la situazione è cambiata alimentando però le voci che continuano ancora oggi a rincorrersi e ad accrescere un malcontento che va al di là del risultato sportivo dell’ultima settimana. La tifoseria sa che i pezzi pregiati potevano andar via, ma è il modo in cui è avvenuto il tutto e soprattutto l’assenza di sostituti ritenuti all’altezza ad aver indispettito. Parole rimangiate rispetto a poche settimane prima, giudicate come un tradimento a tutti gli effetti.
In quest’ultima settimana, molto difficile, a mancare è stata proprio una parola dal punto di vista della proprietà sulla questione derby (pre e post) anche proprio a livello ‘politico’. Neanche il presidente si è espresso ufficialmente. In tutto questo rebus resterà da capire come verranno portati avanti i due investimenti principali extra squadra: lo stadio (con la newco annunciata pochi giorni fa) e il centro sportivo degli Erzelli, finanziato con un bond emesso dalla controllata Genoa Image. Di certo il Genoa è un asset che alla proprietà, effettiva o sulla carta che sia, non conviene depauperare troppo. Le scatole in cui è incastonata la Società la mettono in parte al sicuro da bufere esterne, ma è chiaro che la copertura delle eventuali perdite, visti i problemi dell’azionista di riferimento, non sarebbe più garantita come prima. C’è poi tutta la partita legata all’accordo col fisco con ancora 4,5 milioni da erogare entro il 2026.
E siccome piove sempre sul bagnato, gli infortuni di Messias e Malinovskyi, solo per citare i giocatori di maggior qualità, rappresentano quegli strani tiri del destino che evidenziano ciò che mister Gilardino ha detto a chiusura del mercato: la rosa era incompleta.
Sarà che la sonora sconfitta rimediata con la Juventus è avvenuta in uno stadio vuoto che non ha potuto mettere in soggezione l’11 di Thiago Motta, ma l’impressione è che una volta subito il primo gol, la squadra non sarebbe riuscita a rialzarsi. Impressione che l’anno scorso si è avuta solo alla prima partita. Guardando il match dal vivo ha colpito questa involuzione degli undici di Gilardino che hanno giocato per larghi tratti in 11 dietro la linea della palla, senza quella compattezza e quell’aggressività che aveva caratterizzato non solo la scorsa stagione, ma anche le primissime partite di quest’anno. Vitinha, osannato l’anno scorso, sta incontrando parecchia difficoltà perché costretto a giocare molto lontano dalla porta e le soluzioni offensive a livello di schemi sembrano molto povere: palle lunghe a scavalcare il centrocampo e qualche occasione persa rallentando giocate negli spazi (ne sono capitate due proprio nei piedi di Vitinha nel primo tempo con la Juve, che ha scelto di passare la palla indietro a un compagno invece che lanciare Ahanor scattato bene in profondità o di preferire un fallo laterale sulla trequarti avversaria, tra l’altro andato poi a favore della Juventus, invece che portar palla e crossare).
Gilardino in conferenza è sembrato per la prima volta molto arrabbiato, nonostante non abbia mai nascosto ciò che non gli piaceva. Lo si evinceva dal tono di voce e dalle parole dette molto più rapidamente del solito. Non arrabbiato coi suoi ragazzi, ma con la società. Dal canto suo dovrà trovare soluzioni diverse a quell’ingessato 3-5-2 che senza un giocatore in grado di spaccare la partita come faceva Gudmundsson, non ha molto senso di essere la prima scelta. Il mister dovrà dimostrare anche lui di riuscire a fare di necessità virtù, per quanto possibile e soprattutto di ricompattare i suoi ragazzi a livello mentale, tornando a quel dna identitario predicato ormai da anni e che adesso è il momento di tirar fuori.