Genova. Per il gip Alberto Lippini ci sono “gravi precisi e univoci indizi di colpevolezza” che indicano che Fortunato Verduci, il carrozziere 65enne indagato per l’omicidio Luigia Borrelli avvenuto il 5 settembre 1995 in vico degli Indoratori a Genova, sia l’assassino. Nelle 50 pagine del documento con cui respinge la richiesta del sostituto procuratore Patrizia Petruzziello di arrestare il carrozziere, il magistrato descrive passo passo le indagini vecchie e nuove spiegando perché solo oggi si è potuti arrivare alla soluzione del cold case: da un lato l’evoluzione delle tecniche di genetica forense che consentono oggi di estrarre un numero maggiore di marcatori rispetto a trent’anni fa, dall’altro l’inserimento del profilo “in banca dati nazionale del DNA con tutte le comparazioni” (che è pienamente operativa solo da qualche anno, e che “ha consentito di individuare una parentela per via paterna che poi ha condotto all’odierno indagato”.
Decisive le nuove tecniche di genetica forense e la banca dati Dna dei detenuti
La svolta è arrivata il 20 ottobre 2023, nello stesso giorno in cui la pm Patrizia Petruzziello – esaurita anche l’ultima pista investigativa sul delitto che aveva portato a sospettare un ex primario del San Martino deceduto nel 2021 – aveva suo malgrado chiesto e ottenuto l’archiviazione delle nuove indagini. Quel giorno però dal Gabinetto di polizia scientifica di Roma è arrivato il risultato che ha clamorosamente svoltato l’inchiesta: il profilo genetico non era quello dell’assassino ma il raffronto aveva stabilito una “legame di parentela paterna” tra il profilo di un uomo che nel 2016 era detenuto nel carcere di Brescia e “l’uomo ignoto la cui traccia genetica è stata rinvenuta sulla scena del crimine”.
Il fascicolo è stato riaperto il giorno successivo, il 21 ottobre e le indagini hanno immediatamente individuato il parente, per parte di padre, del detenuto. Solo sei giorni dopo gli investigatori hanno prelevato di nascosto il dna e il 27 ottobre e – dopo solo un altro giorno – è arrivato il responso della scientifica, quella di una “totale corrispondenza tra le caratteristiche alleliche di Verduci e uomo#1”. Una seconda comparazione, utilizzando un nuovo mozzicone raccolto al carrozziere che era stato convocato con una scusa dalla polizia, è stata fatta a gennaio di quest’anno con lo stesso identico risultato.
Verduci e le sigarette: la stessa marca dopo 30 anni
Per la comparazione gli investigatori della squadra mobile hanno utilizzato due bicchierini di plastica dai quali sia Verduci sia il padre avevano preso il caffé. Ma a Verduci hanno preso anche un mozzicone di sigaretta appena fumata. Una Diana, marca che lui fuma da sempre, la stessa marca di sigarette che fumava l’assassino e che è stata trovata sulla scena del crimine con identico Dna.
“Nel fondo di Vico Indoratori 64 R – scrive il giudice Alberto Lippini – sono state trovate plurime tracce biologiche di Verduci Fortunato, lasciate il 5 settembre 1995 (in quanto dalle analisi emerge che sono tracce compatibili con l’ora del delitto e non tracce “vecchie” pregresse e risalenti ), sia salivari che ematiche, sparse nel fondo ,localizzate in tutti i punti fondamentali che segnano e seguono le fasi dell’omicidio e quindi in luoghi rilevanti per la dinamica dell’omicidio”.
L’omicidio, hanno ricostruito le indagini ha avuto varie fasi. “L’autore del reato, dopo una fase iniziale di calma in cui ha anche fumato con la vittima, e’ passato ad una fase di aggressione e ha avuto con la vittima una colluttazione in seguito alla quale si e’ evidentemente ferito” scrive il giudice. Ed è proprio questo che ha consentito di trovare il dna di Verduci sia dai mozziconi di sigaretta sia da tre diverse tracce di sangue.
“Sicuramente – scrive ancora il giudice descrivendo la dinamica del delitto – siamo di fronte ad una situazione di “overkilling” ossia ad una modalità di esecuzione del fatto con “tecnica ridondante” ossia l’utilizzo di piu’ modalita’ idonee a causare la morte (pestaggio con pugni e colpi manuali, utilizzo dei frammenti di porcellana di un posacenere, utilizzo di uno sgabello in legno per fracassare il cranio, utilizzo del trapano per perforare la vittima in zone vitali quali il petto e Il collo con macabra ferocia)”.
Verduci e Borrelli si conoscevano già?
Abitavano nello stesso quartiere, avevano entrambi la passione o meglio la dipendenza dal gioco, si legge nell’ordinanza, e avevano una conoscenza in comune. Un personaggio chiave che tuttavia non potrà più fornire elementi utili sarebbe Ottavio Salis, il proprietario del trapano e anche cliente di Borrelli. Qualche giorno dopo essere stato indagato e poco prima che il dna lo scagionasse, l’elettricista Salis si era tolto la vita, gettandosi dalla Sopraelevata. Salis tuttavia era amico del suocero di Verduci, che all’epoca del delitto era sposato. Salis probabilmente conosceva lo stesso Fortunato Verduci e potrebbe anche avergli parlato di ‘Antonella’ o addirittura avergliela presentata. Ma si tratta al momento di una deduzione degli investigatori.
‘Antonella guadagnava quasi 500mila lire al giorno, ma nel basso non c’era nulla
Il movente invece conferma il gip è quello della rapina. Borrelli con la prostituzione guadagnava bene. Incrociando varie testimonianze dell’epoca e alcune più recenti emerge che ‘Antonella’ guadagnava circa 400-500mila lire al giorno. E teneva i soldi nel portafoglio.
Il delitto si è consumato tra le 21 e le 23 e Verduci secondo l’accusa è stato l’ultimo cliente di Antonella. Ma sulla scena del delitto venne trovata solo la borsa rovesciata: nessun portafoglio e nemmeno i soldi per un caffè. E’ quasi che i due non abbiano avuto un rapporto sessuale perché non sono state trovate tracce di liquido seminale riconducibili a Verduci né sul corpo della donna né tra i numerosi preservativi usati trovati nel basso.
Verduci invece era pieno di debiti a causa del gioco d’azzardo: “Una vera e propria dipendenza” scrive il giudice citando anche alcune recenti intercettazioni telefoniche che hanno provato come “il medesimo chieda anche piccole somme in prestito ai famigliari adducendo false giustificazioni e impegnandole invece poco dopo in giocate”. E se allora giocava al ‘lotto nero’ ora si collega soprattutto “a siti di gioco della roulette russa”
Il gip: “15 fori di trapano, voleva vederla soffrire fino all’ultimo istante della sua vita”
Se il reato di rapina a 29 anni dai fatti è prescritto, resta per il gip l’aggravante collegata a quel reato, quella dei futili motivi. E c’è soprattutto, dice il giudice, l’aggravante della crudeltà. A Luigia Borrelli sono stati praticati “non uno bensi’ quindici ( e si ribadisce quindici ) buchi”. “E’ chiaro che il trapanamento era idoneo di per se’ a cagionare la morte, ma- a prescindere da questo – l’utilizzo di questo strumento per ben quindici volte sul petto e sul collo della vittima dice che soggettivamente l’intento dell’autore era quello di arrecare dolore alla vittima e di vederla soffrire fino all’ultimo istante della sua vita”.
Il no all’arresto: “Potrebbe essere cambiato, e non ci sono prove che non sia così”
Solo due delle 50 pagine di ordinanza vengono dedicate dal giudice alle esigenze cautelari. Per il giudice infatti Fortunato Verduci che a suo avviso è “colpevole” (lo scrive senza mezzi termini) di un delitto così efferato, non deve pero essere arrestato come chiedeva la Procura.
Circa il rischio di reiterazione del reato scrive infatti il giudice che sono passati quasi 30 anni, Verduci è incensurato e potrebbe essere “in astratto una persona diversa” e non ci sono elementi concreti per dire il contrario. “Non si è mai dato alla fuga” ricorda inoltre Lippini “né rileva, a parere di questo giudice, il fatto che il Verduci sia fortemente dedito al gioco. Ciò non dimostra certo che lo stesso si trovi attualmente in una situazione personale di incapacità di controllo dei propri impulsi e quindi in una situazione criminogena”. La Procura ha fatto appello e il tribunale del Riesame ha fissato l’udienza il 23 settembre.
L’avvocato: “Lui si dice innocente. Tutto ruota attorno a Dna”
Da ieri pomeriggio Fortunato Verduci ha nominato come difensori di fiducia gli avvocati Nicola Scodnik e Giovanni Ricco. “In attesa di studiare le carte in maniera più approfondita – commenta Scodnik – mi sembra di capire che tutto ruoto attorno alla prova scientifica del Dna e non c’è un quadro indiziario di contorno. Semplicemente è tutto legato all’acquisizione e alla valutazione di questi campionamenti”. Ai suoi avvocati Verduci ha detto di “essere totalmente estraneo ai fatti e sulla base di questo affronteremo un percorso difensivo anche in vista dell’udienza che ci sarà il 23 settembre”.