Genova. Furono più di mille gli operai genovesi deportati in Austria e Germania il 16 giugno 1944 dopo alcuni scioperi.
In occasione dell’80° anniversario di quel tragico evento fino alle 17:30 di oggi, sabato 15 giugno, in occasione delle visite guidate alla Cittadella antiaerea di Campi organizzate dal Centro Studi Sotterranei, è allestita una mostra aperta al pubblico e gratuita con le testimonianze di alcuni di coloro che vennero caricati sui treni proprio alla stazione di Campi e inviati al campo di concentramento di Mauthausen per poi essere smistati nelle fabbriche austriache e tedesche.
La mostra si può vedere nel patio di Villa Imperiale Casanova in corso Perrone sino alle 17.30 gratuitamente e senza prenotazione ed è organizzata in collaborazione con l’Associazione che ha proprio nel nome quella data indelebile nella storia genovese.
“Dopo l’armistizio dell’8 settembre − racconta il curatore Mauro Traverso, figlio di uno dei deportati − sono cominciati degli scioperi da parte della popolazione, sia gli operai delle fabbriche, ma anche la gente cominciava a lamentarsi della mancanza di cibo. Questi scioperi sono culminati poi con una rappresaglia ordinata dal prefetto Basile, che ha minacciato prima gli operai, ma poi alla fine è passato alla deportazione. Questa deportazione è avvenuta il giorno 16 giugno 1944, appunto, e in alcune fabbriche di Genova sono stati chiusi i cancelli e rastrellati questi 1.288 operai. Gli operai sono stati trasportati con dei camion a Campi, nella vecchia stazione ferroviaria, dove sono stati caricati su dei carri bestiame. C’erano 40 persone ogni carro. I familiari sono accorsi, tutti quanti, a vedere, per salutarli, per vedere cosa potevano fare, ma è stato tutto inutile perché sono stati trasportati tutti a Mauthausen. Durante il tragitto alcuni sono riusciti anche a scappare, però i più tanti naturalmente sono finiti nelle fabbriche tedesche e austriache della Germania”.
Erano tutti giovani, nel fiore degli anni. Il padre di Traverso fu portato a Berlino e lavorò lì fino alla liberazione avvenuta l’anno dopo, nel 1945, da parte dell’esercito russo. Ci sono lettere, ci sono disegni che appunto testimoniano quel periodo che è stato durissimo e che al ritorno i deportati faticarono a raccontare ai famigliari.