Genova. Alessio e Simone Scalamandrè, condannati nel processo d’Appello bis a 21 e 14 anni di reclusione per avere ucciso il padre il 10 agosto del 2020 a Genova nella loro abitazione di San Biagio, hanno “approcciato” il delitto “con una naturalezza, una disinvoltura, senza il benché minimo senso di colpa, che davvero sconcertano e impressionano”. Lo scrivono i giudici della Corte d’Appello di Milano, presieduta da Ivana Caputo, nella sentenza con la quale hanno confermato le condanne di primo grado nei confronti dei giovani. In particolare Alessio, che ai tempi del delitto aveva 28 anni, non avrebbe “dato prova di una revisione autocritica, di dispiacimento per quel che ha fatto” né di avere “almeno una volta in quattro anni” dall’omicidio “rivolto un pensiero pietoso alla vita di suo padre che ha spento così brutalmente; solo preoccupazione per sé e per il proprio futuro giudiziario”.
Secondo i giudici, che non hanno riconosciuto l’attenuante della provocazione invocata dalle difese, entrambi avrebbero partecipato a quella “azione violentissima, rapidissima, che non diede scampo all’aggredito”, colpendo il genitore con un mattarello e un cacciavite nella loro abitazione. Un omicidio avvenuto al culmine di una lite, dopo che la vittima era stata denunciata dai figli per maltrattamenti e minacce alla moglie che era stata costretta a rifugiarsi in una casa protetta lontano da Genova.
In secondo grado la Corte di Appello di Genova aveva condannato a 21 anni Alessio e assolto Simone, con una sentenza che era stata annullata dalla Corte di Cassazione, rinviando il processo a Milano. Secondo i giudici del processo d’appello bis, Simone, allora 20enne, “al più non ha partecipato alla terza fase del delitto” cioè quella “che ha visto suo fratello Alessio infierire sul padre ormai esanime a terra”, una scena che “certo può impressionare per la furia cieca e il rabbioso accanirsi”.
La Corte d’assise milanese ha respinto con un giudizio durissimo il concordato tra le parti, in seguito al quale accusa e difesa avevo chiesto 11 anni per Alessio e 8 anni e 6 mesi per Simone: “La ragione di siffatta richiesta di indulgenza – scrivono i giudici – è la medesima che ha fatto da sfondo a tutte le istanze difensive: il reo è solo e soltanto la vittima, colpevole del ” …drammatico vissuto di Laura Di Santo e dei due figli mai trapelato al di fuori dalle mura domestiche prima di quando è divenuto di grande convenienza farlo trapelare, in considerazione delle condotte poste in essere da Scalamandré Pasquale” Queste condotte verrebbero secondo i giudici” date per assodate e comprovate, senza mai uno sforzo di valutazione oggettiva della attendibilità delle interessatissime voci processuali degli imputati e della i loro madre, di cui non si riesce a biasimare neppure l’invio di messaggi del tenore, che definire “di inopportuna incitazione, è persino eufemistico, “assolvendola” giacché: ” …nell’esternare il proprio malessere ad Alessio, non esitava ad invocare l’aiuto dei figli per uscire da quella logorante situazione…” (sic, a pag. 30 della proposta di concordato sulla pena), laddove la “logorante situazione” erano le tutele apprestate in suo favore”.
Secondo la Corte d’assise d’appello di Milano è “la dinamica del fatto, in conclusione, a rendere la vicenda qui a giudizio un unicum meritevole della sanzione determinata nei termini di cui si dirà. Alessio Scalamandré, […], ha infatti ucciso il padre prendendolo a colpi in testa con un utensile in legno, sfondandogli il cranio dopo che questi era rimasto tramortito e dunque privo di sensi oltre che di ogni residua capacità di reagire, in preda a un incontenibile, furioso impeto di violenza ormai non più sostenuto, neanche lontanamente, da un pur originario fine potenzialmente difensivo reso del tutto superfluo dalla sopravvenuta palese soccombenza fisica” del padre. Una condotta che non merita “indulgenza” secondo la Corte perché denota “un comportamento che ha costituito uno sfogo di istinti ritorsivi, totalmente svincolato da ogni freno inibitorio, che non merita ulteriori riduzioni di pena di sorta ove si consideri che sarebbe bastato all’autore del fatto immobilizzare il padre dopo che aveva perso i sensi e chiamare le forze dell’ordine perché intervenissero ai fini di un aggravamento della misura cautelare alla quale l’uomo era in allora soggetto…”
Quanto al ruolo di Simone, i giudici milanesi sanciscono la corresponsabilità nel delitto seppur con l’attenuante del “contributo causale di minima importanza”, confermando quindi la condanna che era stata pronunciata in primo grado. Contro la sentenza gli avvocati di Alessio (Luca Rinaldi e Andrea Guido) e di Simone (Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca) stanno preparando il nuovo ricorso davanti alla Cassazione.