Genova. È il trentesimo spettacolo prodotto o co-prodotto dal Teatro Nazionale di Genova per questa stagione. “Uno sforzo ciclopico che corona un anno di grandissimo impegno capillare e che ci ha premiati con tanto pubblico presente” afferma il presidente Alessandro Giglio. La regia è del direttore artistico Davide Livermore. Il viaggio di Victor di Nicolas Bedos (co-produzione con lo Stabile di Napoli), con Linda Gennari e Antonio Zavatteri (Diego Cerami in video) debutterà in prima nazionale al Teatro Modena il 3 maggio e resterà in cartellone sino al 19 (ore 20.30, giovedì e sabato ore 19.30, domenica ore 16. Lunedì riposo). Gli abiti di scena sono firmati Giorgio Armani.
Un uomo e una donna. Un trauma: qualcosa è successo nel passato. Lui non ricorda, lei lo assiste. Il dialogo tra loro è una continua spirale, un ricominciare da capo e fare, forse, qualche passo avanti nella comprensione e nella memoria. Non ci sono vie d’uscita, solo le parole. Parole confuse, quelle di lui, istrione appassionato a volte cattivo. Parole chiare, pazienti, quelle di lei, che lo sprona, lo mette spalle al muro, lo richiama alla sua responsabilità. Cosa è veramente successo? Chi sono quest’uomo e questa donna, che sembrano conoscersi molto più di quel che raccontano? Perché questo grumo di dolore?
“Il grande tema − racconta Livermore − è quello del creare uno spazio, di quello che noi spesso non riusciamo a fare, creare uno spazio nella nostra vita per fare in modo che l’anima di chi non c’è più possa vivere, possa prendere uno spazio e possa andare verso luce, verso qualche cosa che è fondamentale dare come luogo in cui la memoria restituisce anche una brillantezza e un valore alla vita che non c’è più, la vita di chi non c’è. Ricordiamoci la responsabilità che abbiamo nei confronti di chi parte e la responsabilità è grande: di sciogliere tutti i nodi che possono tenere queste anime agganciate al terreno e al nostro quotidiano attraverso una vita in cui non sono stato in grado di poter manifestare l’amore, di dichiarare l’amore, di dire le cose che dovevano essere dette. Le cose che rimangono per aria vanno sciolte e fare in modo che le anime possano andare verso la luce, ma soprattutto che quella luce lì possano riceverla anche le persone che restano, perché solo facendo pace con questi temi possiamo pensare di andare verso giorni che ci aspettano con un altro tipo di sguardo verso il futuro senza essere mangiati o rosicchiati come dice Bedos nel testo da topi che sono incubi, che sono rimorsi”.
La vita e la morte sono l’attualità dell’esistenza, ricorda Livermore: “Il lavoro è quello di diventare migliori di quelli che eravamo prima, probabilmente. Se esistono i requiem, se esiste tutta una serie di riti che portano in qualche modo a far pace con chi parte, vuol dire che fa proprio parte della nostra dimensione umana”.
Il Viaggio di Victor è un testo di drammaturgia contemporanea in cui Livermore inserisce tanto di sé: “Ho fatto delle riflessioni su come metterci il mio cammino artistico nel Teatro Nazionale di Genova. La tragedia greca mi appartiene tantissimo, per me è un’immersione fondante. Ci siamo detti, con il dramaturg Andrea Porcheddu, come sviluppare e poter far rientrare l’esperienza classica nella drammaturgia contemporanea“.
Porcheddu è colui che si occupa della rielaborazione e della creazione dei testi da rappresentare e ha anche il compito di proporre nuovi testi: “Nella ricerca di Davide Livermore c’è un afflato tragico, per la prima volta si misura con un dramma contemporaneo, passando dalla grandezza degli spazi delle tragedie a una stanza chiusa. Ha trovato il modo di affrontare il tema del destino, tanto caro alla tragedia greca, anche qui. Ha dato uno slancio tragico e altissimo a un testo che inizialmente sembrava una commedia. Ci fa riflettere sul trapasso, si tratta di un grande requiem. Livermore riesce a mantenere lo sguardo aulico portandolo in un salotto borghese senza che risulti falso“.
“Questo viaggio è fatto insieme a Linda Gennari e Antonio Zavatteri, due grandi attori − aggiunge Livermore − che avranno anche il compito di recitare cantando. La parola parlata e cantata assumono un’estetica nella contemporaneità in chiave aristotelica. Il Covid ci ha fatto scoprire che è possibile morire da soli e non essere con qualcuno. Questo tipo di estrema situazione ci ha fatto sentire la responsabilità da essere umani vivi: accompagnare i morti dall’altra parte”.
“Agli attori Livermore chiede una partecipazione totale attraverso la tecnica” sottolinea Porcheddu.
Linda Gennari commenta: “Ho sposato con grande gioia questa modalità mi permette libertà dentro una griglia che mi dà sicurezza in scena. È una griglia musicale e spaziale, c’è questo contenimento della tecnica e ti dà possibilità di sprigionare emotività senza crogiolarsi nei propri lati emotivi personali. Rimane una grande eleganza e pulizia che poi permette di decodificare un testo, un personaggio e l’emozione che si portano dietro”.
Antonio Zavatteri per la prima volta sta lavorando con Livermore: “Ero curioso, mancavo dalle scene di Genova da sette o otto anni. Io come attore che cerco di occuparmi sempre di un percorso del personaggio. L’essere imbrigliato da appuntamenti musicali, da spazio e movimento potevo temerlo prima, ma ora no. Ringrazio Davide, mi sto trovando bene con lui e Linda e la squadra”.
Se il testo di Bedos è arrivato in Italia è merito di Monica Capuani, che non è solo traduttrice di testi (aveva portato in Italia anche Grounded, sempre per Livermore e il Teatro Nazionale), ma “militante, attivista e mediatrice culturale” l’ha definita Livermore. “Scelgo le cose che come spettatrice mi piacerebbe vedere qui − racconta − magari le vedo fuori e da lì si comincia. Con Bedos è stato così. Avevo visto la Promenade de santé, andato già in scena e poi ho tradotto dallo stesso libretto il Viaggio di Victor in cui tragedia e commedia convivono. La conoscenza della musica di Livermore è un elemento bellissimo che fa capire il ritmo della traduzione per il teatro”.
E il teatro è visto come un elemento per elevarsi, per aiutare chi vive un momento di difficoltà. “È per questo − dice Livermore − che per esempio i grandi monologhi shakespeariani oppure i grandi monologhi delle tragedie greche che parlano di come funzioniamo come anime sono attuali. Racconta come funziona l’essere umano, racconta di noi e racconterà sempre di noi”.