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8 marzo, in Liguria l’occupazione femminile è in calo. Un’operaia guadagna la metà di un uomo

La fotografia emerge dai dati Inps e Istat, Cgil e Cisl: "Condizione inaccettabile, la parità di genere è una chimera"

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Genova. I dati Inps e Istat su lavoro e retribuzioni a Genova e in Liguria definiscono un quadro molto preoccupante in vista dell’8 marzo. Secondo le elaborazioni del responsabile ufficio economico Cgil Genova e Liguria, Marco De Silva, tra il 2018 e il 2022 l’occupazione femminile nella città metropolitana di Genova è calata dell’1% a fronte dell’incremento del 5,6% di quella maschile (a livello ligure le percentuali sono rispettivamente dello +0,5 e del +3,9%).

Complessivamente a livello regionale, nei primi tre trimestri del 2023, le assunzioni registrano una contrazione dello 0,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e solo il 40% è rappresentato da donne. Altro elemento che segna la discriminazione tra i generi è rappresentato dall’intensità di lavoro, dato che misura la prestazione lavorativa in giornate medie lavorate annue: le donne lavorano mediamente (dato 2022) 14 giorni in meno degli uomini, differenza in aumento rispetto al 2019 quando lo scarto era di 9 giornate. La condizione negativa di essere occupate poco e in condizioni precarie si scarica sulle retribuzioni dove la differenza media annua tra lo stipendio di un maschio rispetto ad una femmina è del 35%, elemento che a cascata si ritrova anche nel reddito pensionistico medio con un divario del 30 per cento medio in meno sempre a scapito delle donne.

Non solo: secondo i dati riferiti dalla Cisl Liguria, le operaie liguri mediamente guadagnano 11mila euro lordi all’anno rispetto ai quasi 20mila euro dei colleghi uomini, le impiegate 20.900 contro 34mila, le donne ‘quadro’ 54mila contro 67mila, le dirigenti 100mila contro 145mila mentre le apprendiste quasi 11mila euro rispetto ai 14mila degli uomini, un divario di genere in linea con il gap nazionale.

Per Igor Magni e Maurizio Calà, rispettivamente segretari generali di Cgil Genova e Liguria, “la condizione delle donne non è accettabile sia sul piano sociale perché su di loro grava gran parte del lavoro di cura all’interno delle famiglie, sia su quello lavorativo con le differenze contributive e le discriminazioni professionali che subiscono. E le prime a discriminare le donne sono le istituzioni: ad esempio, è sotto la presidenza del Consiglio dei ministri da parte di una donna che il Governo ha eliminato la condizionale che assegnava alla componente femminile il 30% dei posti di lavoro creati da bandi legati al Pnrr, misura che la Cgil ha prontamente chiesto di ripristinare. Infine c’è l’odiosa questione della violenza di genere sulla quale, a partire dagli uomini, è necessaria una vera a propria rivoluzione culturale”.

“Il lavoro delle donne è ancora precario nonostante qualche segnale positivo arrivato dai bonus occupazionali nel patto del turismo e percorsi formativi mirati all’occupabilità – commentano il segretario generale della Cisl Liguria Luca Maestripieri e la segretaria regionale Paola Bavoso -. Questa incertezza si evidenzia ormai in ogni settore, non solo in quelli legati alla stagionalità: ormai è una prassi e il titolo di studio non viene valorizzato adeguatamente. Basta pensare che tra le donne occupate in Liguria il 31% sono laureate mentre la percentuale degli uomini si ferma al 20%. L’assoluta mancanza di un sostegno sociale rappresenta un ostacolo per la donna che è quella maggiormente impegnata nel lavoro di cura nei confronti dei figli e magari genitori anziani. La parità di genere è una chimera e la parte imprenditoriale certamente non aiuta. Facendo una stima possiamo quantificare che solo il 20% delle imprese liguri ha la certificazione di genere che viene fatta solo nel caso in cui si partecipa ad un bando pubblico. Invece sarebbe utile per mettere finalmente a nudo questa differenza. In molte aziende il numero di impiegate, all’interno di una precisa fascia d’età, è superiore rispetto a quello maschile ma poi passando ai livelli dirigenziali scopri che la presenza femminile è quasi inesistente. Il problema è duplice: serve un sostegno sociale alla donna e alla famiglia e bisogna lavorare per una cultura diversa nell’impresa come nella società”.



                
                
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