Liguria. “Il volontariato è una componente fondamentale di ogni nazione civile. E siccome sono convinto che ogni cittadino debba essere parte attiva dello Stato in cui vive, è fondamentale coinvolgere quante più persone nelle nostre attività”. Dopo 48 anni di servizio nelle pubbliche assistenze, il punto di vista di Nerio Nucci, presidente dell’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze della Liguria (Anpas), non è solo un parere qualificato ma ha le caratteristiche per essere un vero e proprio obiettivo programmatico per tutte le pubbliche assistenze ed i comitati di Croce Rossa Italiana che operano sul nostro territorio.
In attesa che la Regione Liguria, CRI, Anpas, Misericordie e ANAS sottoscrivano il nuovo accordo quadro per la gestione dei servizi di soccorso e trasporto sanitario, la nostra redazione ha voluto analizzare la situazione del volontariato nella nostra regione, per capire i numeri e le dimensioni di un settore che, pur essendo quasi interamente su base volontaria e quindi soggetto a fluttuazioni dovute a varie concause, rappresenta a tutti gli effetti il vero e proprio pilastro su cui si regge il Sistema sanitario regionale e nazionale.
I numeri
Partiamo da Anpas. In totale in Liguria sono operative 102 pubbliche assistenze: di queste, sono 46 quelle attive in provincia di Genova, sono 26 quelle presenti nel savonese, sono 5 quelle presenti nell’imperiese e sono 25 quelle che operano nello spezzino.
Per quanto riguarda la Croce Rossa Italiana, invece, in provincia di Genova i volontari sono in tutto 3900, suddivisi in 26 comitati territoriali; in provincia di Savona i volontari sono in tutto 1.500, suddivisi in 14 comitati territoriali. In tutto, in Liguria ci sono 54 comitati territoriali e 73 sedi (un comitato può avere più sedi sul territorio limitrofo).
Per quanto riguarda il numero di volontari, gli ultimi dati disponibili sono quelli relativi al 2022, quando risultavano iscritti ad Anpas 8.548 volontari. Di questi, quelli su Genova erano 4.255, su Savona erano 2.506,quelli su Imperia 460 e quelli su Spezia 1.327.
Analizzando il trend dal 2017 al 2022, è possibile notare un andamento che Nucci definisce “sinusoidale”. Di seguito la tabella riassuntiva.
Secondo Nucci “non è facile leggere i dati, né capire cosa succede veramente. I numeri dipendono molto dalle circostanze. Grandi ‘eventi’ sanitari come la pandemia da Covid-19 o eventi naturali come i terremoti di Amatrice e Norcia portano sempre un incremento di volontari, sia in ambito sanitario che, ad esempio, di protezione civile. Si tratta di eventi che rappresentano un grande ‘motore’ perché spesso chi si avvicina al volontariato in queste occasioni poi resta anche in seguito”.
Il vero problema, oggi, è un altro: “Purtroppo, tanti ragazzi che non trovano lavoro si avvicinano alle pubbliche assistenze in cerca di occupazione. Questo approccio è sbagliato, perché le pubbliche assistenze sono organizzazioni di volontariato e non sono composte interamente da dipendenti (ora in tutta la Liguria ne abbiamo 580 circa a fronte di oltre 8.500 volontari). Non possiamo permetterci di far passare il messaggio che gli aspiranti volontari possano avvicinarsi a noi nella speranza di avere un lavoro. Le loro motivazioni devono essere altre”.
“Il volontariato non è semplice, soprattutto quello svolto nell’ambito dell’emergenza sanitaria – sottolinea a sua volta Gabriele Marino Noberasco, consigliere delegato di Anpas Liguria e coordinatore per il Ponente Ligure – Per svolgerlo occorre preparazione e una certa capacità emotiva. Chi lo svolge spesso si porta a casa una certa parte delle esperienze che vive. Noi invitiamo ad avvicinarsi e provare, ma non è per tutti. Ma è bene ricordare che il volontario non è per forza colui che presta servizio in emergenza. Ci sono tante altre attività: i servizi sociali, ad esempio, o il trasporto qualificato. C’è un altro aspetto: sebbene i volontari siano ancora in maggioranza giovani, le variazioni demografiche (che portano gli anziani ad essere sempre più numerosi e i giovani ad essere sempre meno) incidono anche su questo settore. Senza contare che purtroppo sempre meno giovani restano nella propria città di origine, costretti ad andare a cercare lavoro altrove”.
Il servizio civile
Una sorta di “ibrido” tra il volontariato e l’impiego in ambito sanitario è dato dal servizio civile, che consente ai ragazzi di “lavorare” nelle associazioni grazie ad un contributo mensile che si aggira sui 500 euro. I contributi vengono erogati a quanti, a seguito di bando, vengono ritenuti idonei di poter svolgere un determinato servizio all’interno di un progetto mirato: “Prima c’erano parecchie richiesta anche per il servizio civile, ma anche in questo caso abbiamo assistito ad un drastico calo – spiega ancora Nucci – Coloro che si avvicinavano a noi attraverso questa iniziativa magari non erano motivate come i volontari, ma il contributo che veniva riconosciuto loro poteva essere una buona molla. Ma si trattava comunque di impegni estemporanei, che ci si assumeva in mancanza di impiego e che venivano abbandonati subito non appena si presentava qualche migliore opportunità lavorativa. Per questo la percentuale di questi ragazzi che mollano è altissima. Concludere il periodo del servizio civile con la metà di quanti l’hanno iniziato è un bel risultato. D’altro canto, anche le pubbliche assistenze non devono considerare il servizio civile come una ‘sostituzione’ del lavoro dipendente o del contributo di un volontario. E’ qualcos’altro, che si inserisce all’interno di un progetto di servizio alla comunità o a determinate categorie di persone. Per questo motivo deve trasmettere a chi vi prende parte qualcosa che vada oltre al contributo economico. Tante volte associazioni concentrano molte attività di routine sui ragazzi del servizio civile. Ma bisognerebbe ricorrere al servizio civile per altre attività, per mettere in atto progetti impostati”.
E anche quando ci sarebbero, spesso le motivazioni finiscono per scontrarsi con le dimensioni dei “sacrifici” richiesti dal volontariato: non solo il dover rinunciare al proprio tempo libero, che potrebbe essere dedicato agli affetti o alle passioni personali, ma anche questioni più pratiche non dipendenti dalla tipologia di impegno. “Io opero come volontario nello spezzino – aggiunge Nucci – ma ora, in qualità di presidente Anpas, sono spesso a Genova e mi capita di interagire con associazioni di tutto il territorio. Le situazioni sono diversificate. La provincia di Genova risente molto della ‘crisi del volontariato’. Purtroppo certe tipologie di servizi o i problemi che affliggono i pronto soccorso (con le lungaggini che, ad esempio, dilatano molto i tempi di rientro delle squadre intervenute per un’emergenza) rappresentano criticità non da poco. Ad esempio, molte associazioni hanno evidenziato come tanti volontari (magari studenti o lavoratori) evitino appositamente i turni in orario notturno in quanto temono di ‘passare la notte’ al pronto soccorso”.
“Purtroppo – aggiunge Marino Noberasco – i contributi che arrivano dal Governo centrale sono sempre meno, perciò è chiaro che chi ha bisogno di condurre la propria vita, anche se dotato di grande passione e del giusto spirito, si trovi costretto ad abbandonare il servizio civile di fronte ad occupazioni più remunerative. Se il livello del finanziamento tornasse ad essere più alto e quindi compatibile con il costo della vita, allora si potrebbe dare ai più giovani l’opportunità di completare questa esperienza, che porta con sé un notevole bagaglio di formazione umana e professionale e, soprattutto, educa alla vita civile”.
Il volontariato come pilastro
Eppure, come detto, senza il volontariato il Sistema sanitario italiano non potrebbe funzionare: “Senza volontariato il trasporto sanitario sarebbe in crisi – conferma Nucci – Ad ora non ci sono alternative a questo, a meno che Stato e Regioni non dedicano di investire su questo settore. Ma l’esborso sarebbe molto consistente. Se i costi di un’ambulanza dovessero essere applicati a realtà con personale dipendente, la cifra complessiva sarebbe doppia rispetto a quella che si spende con i volontari”.
Una sorta di “anomalia” che però, come spiega Nucci, non è tutta italiana: “Il volontariato è parte determinante di uno Stato civile ed è per questo che è caratteristica dei Paesi più democratici cercare di incrementare il più possibile il volontariato. Nazioni come Francia e Inghilterra hanno settori del volontariato che sono autentiche eccellenze. Penso ai vigili del fuoco volontari di alcune zone del nord dell’Inghilterra o ai volontari del soccorso in mare. Tutti ambiti che rappresentano il top della professionalità. E’ una questione di cultura: il cittadino deve essere parte attiva dello Stato, ne sono convinto. Poi ovviamente certe attività bisogna svilupparle in maniera più decisa se si vuole raggiungere livelli di professionalità più avanzati. In questo caso bisogna dedicarcisi con personale dipendente”.
Gabriele Marino Noberasco, pone l’accento su un elemento importante: “Spesso si parla di ‘trasporto sanitario’ come se questo presupponesse che i volontari trasportano pacchi da una parte all’altra. In realtà la prestazione principale dei volontari è il soccorso sanitario in emergenza-urgenza. In ogni intervento c’è sicuramente una componente di ‘trasporto’, ma l’attività principale è il soccorso avanzato. Negli anni si è passati da un approccio al volontariato del tipo ‘prendiamo il paziente e portiamolo in ospedale il più velocemente possibile’ a un approccio che vede il volontario come una persona che, dopo un percorso di formazione lungo e complicato, è capace di svolgere tutte quelle manovre che occorrono per prestare il primo soccorso di emergenza e fare in modo che le condizioni del paziente non peggiorino nel tragitto fino all’ospedale”.
Ciò implica che “in Italia non sia riconosciuta la professionalità del volontario. Chi presta servizio nelle pubbliche assistenze o in Croce Rossa segue un percorso di formazione che lo porta ad avere una professionalità elevata nell’ambito del soccorso di emergenza, ma questo non viene mai quasi evidenziato come meriterebbe. Quando arriva l’ambulanza, il comune cittadino pensa che a bordo ci sia qualche operatore con una formazione ‘relativa’ oppure un infermiere o un paramedico, come si vede nei film. In realtà non è così. Purtroppo si è smarrito il riconoscimento della figura del volontario. Solo chi opera nel settore si rende conto degli sforzi, dei sacrifici e della preparazione: all’esterno queste peculiarità e questo ruolo centrale nel sistema sanitario non sono percepite. Bisogna sottolineare, tra l’altro, che il volontario è il primo ‘volto’ del sistema sanitario, la prima figura in cui si imbatte chi ha bisogno di aiuto”.
L’età dei volontari
Più sopra abbiamo sottolineato come ad avvicinare le pubbliche assistenze siano spesso i giovani, magari in cerca di lavoro. Quali sono le “età” dei volontari dunque? Sempre tenendo come riferimento il 2022 scopriamo che in ambito Anpas i volontari sono per lo più uomini (il 62% con 5.091 volontari) che donne (il 38% con 3.090 volontarie).
La fascia under25 costituisce il 19% del totale (con 847 uomini e 735 donne per 1.538 volontari complessivi); la fascia 26-35 anni è il 16% del totale (con 780 uomini e 546 donne e 1.326 volontari); la fascia 36-45 è il 14% del totale (con 768 uomini e 412 donne e 1.180 volontari totali); la fascia 46-60 è il 18% del totale (con 981 uomini e 586 donne e 1.567 volontari); la fascia over61 è il 17% del totale (con 1.087 uomini e 375 donne e 1.462 volontari). Completa il quadro un 12% di volontari che non hanno specificato l’età (con 628 uomini e 436 donne e 1.064 volontari). Altri 367 volontari non hanno specificato né sesso né età.
In Croce Rossa Italiana, invece, l’età dei volontari attivi in provincia di Savona rivela la seguente fotografia demografica. I giovani tra i 15 ed i 18 anni sono il 4%. Come spiegano dal Comitato Regionale della Liguria questo gruppo rappresenta “una quota relativa-mente esigua dei soci volontari, probabilmente a causa di impegni scolastici e di altre attività che possono limitare il loro coinvolgimento nel volontariato attivo”. I giovani tra i 19 e i 32 anni sono il 21% del totale: “Nonostante una percentuale più alta rispetto ai minorenni, questa fascia di età mostra un coinvolgimento inferiore rispetto ai gruppi più maturi. Ragioni come l’avvio della carriera professionale o impegni familiari possono influire sul loro grado di partecipazione”. Le persone tra i 33 ed i 55 anni sono invece il 36% del totale: “Questo gruppo rappresenta la fascia più significativa di volontari. La fascia di età in cui molte persone hanno stabilito una carriera consolidata o hanno maggiore flessibilità per dedicare tempo al volontariato”. Infine, quelli tra i 56 e i 66 anni sono il 22% del totale: “Anche se in percentuale minore rispetto al gruppo precedente, questa fascia d’età mostra un impegno notevole nel volontariato, probabilmente sfruttando la maggiore disponibilità di tempo dopo il pensionamento”. Gli over67 sono il 15% del totale: “Nonostante rappresentino una fetta più ridotta dei volontari, questo gruppo mostra un significativo contributo, dimostrando un impegno costante anche in età avanzata”.
Il quadro è piuttosto positivo e smentisce in parte la credenza, piuttosto diffusa, secondo cui “i soccorritori siano spesso più anziani dei soccorsi”. In realtà i “giovani” fino ai 60 anni sono la metà del totale e, certamente, quelli ancora in età lavorativa (che possiamo considerare fino ai 65 anni) è ben superiore. In ogni caso, la gestione dei volontari più agée risponde a precisi criteri: “Le associazioni – spiega Nucci – cercano di indirizzare i più giovani sulle attività più ‘faticose’ come le urgenze. Io personalmente ho 64 anni e faccio il volontario da quando ne avevo 16. Sono ancora in forse, ma sicuramente un ragazzo di vent’anni è in grado di svolgere un intervengo di urgenza di un certo livello in maniera più efficace di me. Per questo motivo indirizziamo le persone con età più elevata, come i neo-pensionati, che dopo aver concluso la carriera hanno più tempo libero a disposizione, su servizi ordinari e più ‘tranquilli’ ma ugualmente indispensabili, come dialisi, visite oncologiche. Insomma, i cosiddetti ‘trasporti qualificati’ che non sono urgenti ma devono rispondere a certi criteri”.
Anche se i numeri sono confortanti e danno motivo per essere ottimisti, è necessario “cercare di avvicinare ancora più giovani alle pubbliche assistenze – nota Nucci – Per questo dobbiamo essere ancora più attrattivi e stimolare le persone a scoprire il mondo del volontari. Per fortuna, l’assessorato regionale alla sanità sta dimostrando molta attenzione nei nostri confronti e di ciò siamo contenti. Auspichiamo di poter sottoscrivere quanto prima l’accordo quadro”.
C’è un aspetto fondamentale, che è bene sottolineare: quello economico. “Oggi – aggiunge Gabriele Marino Noberasco – i dati dicono che alla Regione Liguria un’ambulanza attiva sulle 24 ore all’interno del sistema di soccorso costa meno di 100mila euro l’anno. Sono davvero pochi. In altre regioni il costo medio di un’ambulanza h24 è circa 220mila euro. Davvero poco. Invece i dati dell’osservatorio nazionale evidenziano che un’ambulanza interamente gestita con personale dipendente (pubblico) retribuito è di oltre 750mila euro l’anno. Quindi quando si parla dei contributi assegnati alle pubbliche assistenze, è bene sottolineare anche il risparmio portato alle finanze pubbliche”.
Dalla Regione
E parlando di Regione e di trasporto sanitario (specialmente quello di emergenza) è inevitabile chiedere un parere a Brunello Brunetto, consigliere regionale presidente della seconda commissione sanità e sicurezza sociale e già primario di anestesia e rianimazione degli ospedali di Savona e Cairo Montenotte e direttore del dipartimento di emergenza urgenza dell’Asl2.
“Quando si dice che ‘è arrivata l’ambulanza’ non bisogna mai dimenticare che dietro quel mezzo di trasporto ci sono volontari e militi, una sede di pubblica assistenza o di Croce Rossa, un direttore dei servizi che sempre più spesso fa fatica a completare il calendario dei turni e una realtà che si sostiene grazie alle donazioni, organizzando manifestazioni come sagre o feste e, soprattutto, sui sacrifici dei suoi soci. Se oggi il trasporto sanitario è garantito, è perché c’è qualcuno che sceglie di rinunciare a parte del proprio tempo libero per mettersi a disposizione della comunità; che sceglie di essere reperibile il giorno di Natale, mentre tutti gli altri sono a festeggiare seduti a un tavolo; che quando serve prende e parte da casa o dalla sede dell’associazione per andare sul luogo di un incidente o là dove ce n’è più bisogno. Un piccolo, grande mondo, fatto di sacrificio e duro lavoro, che sarebbe bene non spersonalizzare con la semplice espressione ‘è arrivata l’ambulanza’ ma affermando che ‘è arrivato un equipaggio di volontari su un mezzo che li rappresenta’. Occorre avere il massimo rispetto e attribuire estremo valore a chi svolge attività di volontariato. Non solo ringraziando, ma sostenendo concretamente queste pubbliche assistenze, che oltre a garantire il soccorso sanitario svolgono un fondamentale ruolo sociale nei comuni in cui si trovano”.
Il soccorso, insomma, come componente fondamentale di un sistema più grande: “Cosa succederebbe se tutti i volontari scioperassero contemporaneamente? – si chiede Brunetto – Questo non vale solo per le pubbliche assistenze, ma anche per altre associazioni di volontariato che svolgono altre attività. Come, ad esempio, la raccolta di sangue. Anche le trasfusioni che riceviamo in ospedale sono rese possibili dall’impegno dei donatori volontari e di chi il sangue lo raccoglie, lo conserva e lo mette poi a disposizione del sistema sanitario. Realtà che troppo spesso sono misconosciute e trascurate dall’opinione pubblica e non valorizzate opportunamente”.
Analizzando le fasce di età dei volontari, Brunetto nota che “in passato, la fascia più ampia era costituita dagli anziani. Ed era anche molto folta la fascia immediatamente più ‘giovane’. Probabilmente perché molti pensionati (o baby-pensionati) decidevano di fare volontariato presso una pubblica assistenza o in protezione civile. Ora, invece, si è verificato uno spostamento sociologico complessivo, per cui i pensionati non sono più così ‘baby’, le condizioni economiche sono peggiorate e, magari, si trovano costretti ad impiegare il loro tempo libero aiutando la famiglia anziché fare volontariato. In generale, comunque, a parte alcune realtà con un sistema estremamente attrattivo, nella maggior parte dei casi dobbiamo fare i conti con una generalizzata crisi delle vocazioni”.