Genova. “Io non eseguivo le direttive di Leopizzi, a me serviva parlare con lui per capire il termometro delle situazione ma il mio obiettivo era contestare quando le cose andavano male, ma far sì che non succedesse nulla dal punto di vista dell’ordine pubblico. Massimo Leopizzi è una persona molto intelligente ma purtroppo per la sua salute è molto alterato. A volte bisognava attendere 12-24 ore perché dicesse le cose in modo diverso”. Così Davide Traverso, dal 2014 al 2018 presidente dell’associazione club genoani, ha respinto le accuse di essere il ‘tramite’ degli ultrà violenti nel processo in corso per le presunte estorsioni al Genoa nella maxi indagine della squadra mobile di Genova che ha portato all’attuale processo. Traverso è stato l’unico dei 17 imputati finora a farsi interrogare nel processo. Rispondendo alle domande del pm Francesca Rombolà e del suo avvocato Riccardo Lamonaca ha respinto anche le accuse che gli ha mosso nella scorsa udienza l’ex presidente del Genoa Enrico Preziosi.
A Traverso sono stati chiesti i suoi rapporti con tutti i principali imputati a partire da Arthur Marashi. “Ho conosciuto Marashi – ha detto – perché me lo ha presentato la Digos allo stadio. Aveva il cartellino con scritto staff e si occupava del Genoa. Poi io lo avevo visto sul campo per Genoa-Siena e questo ha avvalorato l’idea che si occupasse della sicurezza. Per me Marashi era facente funzione della Questura allo stadio. Lo vedevo anche in tribuna e sapevo che faceva la scorta ad alcuni giocatori. Per questo l’ho collegato alla Questura. L’ho sempre visto con carabinieri e polizia, anche di recente l’ho visto in un bar con gente in divisa”.
Traverso ha detto di non sapere nulla della Sicurart (l’azienda di Marashi e con socio occulto Leopizzi che forniva gli steward allo stadio e che secondo l’accusa sarebbe stata l’unica ad essere pagata regolarmente seppur indirettamente dal Genoa – che era in debito con centinaia di fornitori – attraverso la 4anyjob per contenere le contestazioni violente ndr) e ha voluto sottolineare più volte che lui allo stadio “andava nei distinti e non nella gradinata perché io faccio parte da sempre dei club genoani ma mai di gruppi ultras”.
Rispondendo alle domande del pm ha fatto però un po’ la storia dei principali gruppi ultrà, dalla Fossa dei Grifoni al 5R, dalla Speloncia “a tanti altri piccoli gruppi” e ha dipinto la tifoseria del Genoa come “un grande palazzo dove ognuno ha la propria testa e Leopizzi era al piano terra, vedeva entrare e uscire tutti”. Una sorta di ‘portinaio’ quindi che sapeva tutto quello che accadeva nel mondo della tifoseria e “che conosce dieci volte le persone che conosco io e non aveva certo bisogno di tramiti. Lui e gli altri principali rappresentanti degli ultrà avevano i numeri di tutti”.
Traverso ha raccontato anche del suo rapporto con Enrico Preziosi negando di sapere alcunché dell’incontro a Cogliate dove al presidente del Genoa, secondo quanto da lui raccontato in aula, Leopizzi chiese di saldare un presunto debito di Milanetto da 200mila euro. “Ho visto Preziosi due volte a Cogliate, sempre con Leopizzi. La prima volta nel 2014 ci accompagnò un dirigente del Genoa e io ho detto a Preziosi che anche se non gradivo la gestione avrei fatto il tifoso. E’ stato un incontro cordiale e tranquillo Poi l’ho rivisto mi sembra nel 2015 sempre a Cogliate e sempre con Leopizzi. Mi aveva chiamato dopo la mancata qualificazione Uefa Poi c’e stato un altro incontro a Forte dei Marmi, nell’agosto 2016 dove sono andato con mia moglie ma lei è rimasta fuori: mi ha portato in uno stabilimento balneare per farmi vedere in diretta l’aereo in risposta allo sfottò del presidente della Sampdoria Ferrero. Della questione del debito di Milanetto non ho mai sentito parlare”.
La telefonata di Preziosi a Traverso, più volte letta parzialmente in aula, avvenuta dopo la presunta tentata estorsione di cui ha parlato l’ex presidente del Genoa, per Traverso non aveva come oggetto la rabbia per quella richiesta: “Secondo me non c’è mai stato quell’incontro sennò Preziosi invece di chiamare me sarebbe andato direttamente in Procura”. Preziosi in quella telefonata diceva “Ho le prove, ho l’audio” e in aula aveva detto che aveva finto di aver registrato quell’incontro in cui gli chiedevano di fatto di pagare 200mila euro per conto di Milanetto che avrebbe avuto un debito “con uno straniero”. Secondo l’accusa quella sarebbe la prova che gli ultrà volevano far pagare alla società i soldi che il Genoa doveva alla società che forniva gli steward allo stadio. Oggi tuttavia, Traverso, ha smentito categoricamente quella ricostruzione.
Oggi sono cominciate le dichiarazioni spontanee di alcuni imputati. Tra loro Ivano Mucchi, difeso dall’avvocato Riccardo Passeggi, che ha respinto non senza una certa veemenza tutte le accuse. Ha detto di essere tifoso fin da quando era bambino e di aver si scritto i comunicati degli ultrà ma di non essere un violento e di non aver mai preso un centesimo né di aver goduto di una qualche agevolazione in quanto ultrà: “Ho sempre pagato l’abbonamento, tutte le trasferte e tutto quello che ha a che fare con la mia passione sportiva. La contestazione a Preziosi la rivendico perché l’ho sempre considerato il male del Genoa. Al di la delle provocazioni nei nostri confronti, visto che ci definiva dei delinquenti, era la gestione che criticavamo, le cui conseguenze le sta pagando la società ancora adesso”.
Mucchi ha voluto chiarire che “non c’è il capo Leopizzi e Mucchi che scrive i comunicati, la situazione è molto più complessa anche se Massimo è una figura su cui si poteva fare riferimento”. Mucchi ha anche detto di essere delegato della Filt Cgil e di aver trovato “offensivo” per la sua storia e le sue idee essere stato considerato come un rappresentante della brigata Speloncia: “Dovevate chiederlo alla Digos – ha detto rivolto all’accusa – che ci conosce tutti. Sono arrivato incensurato fino a 52 anni pur vivendo nel mondo ultras, qualcosa vorrà dire. Ho solo una grande passione che è il Genoa che voi da 4 anni mi avete tolto” ha concluso facendo riferimento al Daspo da cui è stato colpito insieme a tutti gli altri imputati.
Anche gli imputati Marco Pellizzari, Chiara Bruzzone e Nicola Garibotto hanno fatto brevi dichiarazioni spontanee respingendo le accuse. Da ultimo è intervenuto il ristoratore Fabio Donato, accusato di aver fatto da prestanome a Leopizzi nella gestione del ristorante il Fungo a Pianpaludo nel savonese, per evitare – questa la tesi dell’accusa – un sequestro preventivo a causa proprio dell’indagine in corso per estorsione. “Io Leopizzi lo conoscevo e lo avevo assunto come cameriere – ha detto – perché era preciso e grazie a lui il locale si era riempito di tifosi e di clienti, ma il ristorante era mio anche se era intestato a mia madre e poi alla mia compagna a causa dei miei debiti con il fisco. E’ vero che Leopizzi andava in giro a dire che era suo il ristorante e io lo lasciavo fare. Lui a causa del problema che ha con l’alcol, ingrandiva sempre un po’ le cose”.