Genova. Ben 311 imprese del settore alimentare su 527 controllate sul territorio metropolitano genovese, cioè il 59%, non sono risultate conformi alle norme igieniche. È quanto emerge dal bilancio dell’attività della struttura di di Igiene degli alimenti e della nutrizione della Asl 3 nel corso del 2023. Un dato in aumento rispetto a quello del 2022, quando le aziende irregolari erano il 42%, nonostante quelle ispezionate si siano quasi dimezzate da un anno all’altro, passando da 806 a 527.
Tra le imprese “non conformi” sono 65 quelle sanzionate con una sospensione dell’attività (erano 39 nell’anno precedente). Pressoché invariate le contestazioni di illecito amministrativo (da 710 a 715) anche se aumenta la quota di quelle risolte con pagamento liberatorio (dal 28% al 39%). Nel 2023 sono stati 769 i sopralluoghi effettuati (oltre mille nei due anni precedenti), 240 i prelievi di alimenti, 1.092 i prelievi di acque destinate al consumo umano, 334 le attestazioni per esportazione. Le sanzioni pagate nel 2023 sono fruttate 271.150 euro alle casse della Asl.
Ma cosa succede nei locali “sporcaccioni” che ricevono una visita dei tecnici della prevenzione della Asl? Le situazioni più gravi, tanto da assumere rilievo penale, sono quelle individuate da una legge del 1963 che vieta di vendere, somministrare o distribuire sostanze “in cattivo stato di conservazione” oppure “insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive”. Si va dal cibo scaduto agli ospiti sgraditi in grado di contaminarlo come topi, scarafaggi e fuochisti. Nell’ultimo anno sono state 13 le segnalazioni all’autorità giudiziaria per queste violazioni su un totale di 16 denunce: tra queste ci sono anche i casi di “frode in commercio“, ad esempio alimenti surgelati spacciati per freschi.
Tra le contestazioni limitate agli illeciti amministrativi spiccano le 185 registrate per carenza di pulizia e manutenzione (il 26% del totale): sporcizia negli ambienti di lavoro, muffa, attrezzi non lavati. Altre violazioni frequenti riguardano i dispositivi per il lavaggio per le mani e l’erogazione di acqua calda, l’assenza o la mancata applicazione delle procedure Haccp (il protocollo di autocontrollo per la sicurezza alimentare) o i requisiti per le attrezzature.
La progressiva contrazione dell’attività ispettiva, riflettono dalla Asl, si spiega con la riduzione del personale (erano 29 unità nel 2018, oggi sono 17), ma anche con la tendenza a fare controlli più mirati che permettono di scoprire in proporzione un maggior numero di irregolarità. I blitz dei tecnici della prevenzione sono sempre meno “a campione” e sempre più innescati da segnalazioni di lavoratori o clienti (a volte anche grazie alle recensioni online su Google, Facebook e Tripadvisor) o da contatti con le forze dell’ordine, che a volte intervengono per altre fattispecie di reato.
Il numero di illeciti risulta comunque molto elevato, coi conseguenti pericoli per la salute dei consumatori. Da un lato c’è chi ha una scarsa conoscenza delle norme igieniche, dall’altro c’è chi sceglie di violarle perché accetta il rischio (e anche perché l’effettiva sanzione spesso arriva a distanza di tempo dal fatto illecito, a parte la chiusura che scatta immediatamente). Problemi che, secondo gli esperti, si potrebbero risolvere potenziando la formazione alle aziende, ma anche aumentando gli organici degli organi di controllo, velocizzando le procedure e differenziando gli importi delle sanzioni tra micro e macro-imprese.