Genova. “Aspettiamo le decisioni del governo ma questo balletto sulle responsabilità tra governi passati a attuali ci vede un po’ saturi perché quello che per noi conta è che da quando è nata Acciaierie d’Italia nel 2020 con il governo Conte, a causa dell’annullamento dell’accordo sindacale del 2018 i lavoratori di Cornigliano hanno perso in media 4mila euro l’anno di salario”. Armando Palombo, coordinatore dell’rsu di Acciaierie d’Italia mette sul tavolo i numeri del fallimento dell’azienda che oggi – dopo il divorzio, consensuale o meno, con Mittal – deve essere ripensata da zero.
Non solo. Mittal in questi anni a fronte dei soldi che ci hanno messo i vari Governi, non ha investito un euro negli stabilimenti, ma ha fatto sì che a perderci fossero i lavoratori in termini di contratti di secondo livello e premi di produzione. “Rivendichiamo il salario perso e non possiamo aspettare oltre per errori manifesti delle decisioni politiche in favore di ArcelorMittal” aggiunge.
Il divorzio tra la parte pubblica di Acciaierie d’Italia e il socio privato Arcelor Mittal sarà ufficializzato nell’incontro da i soci (quasi ex) calendarizzato per mercoledì 17 gennaio. Ii team legali di Arcelor Mittal e Invitalia sarebbero al lavoro per una uscita “morbida” del socio privato da Acciaierie d’Italia.
Attualmente il colosso privato dell’acciaio detiene il 62% della proprietà, Invitalia il 38%. Si lavora per definire un accordo, che potrebbero prevedere un indennizzo, per evitare un lungo contenzioso legale. La decisione sarà presa entro mercoledì e comunicata giovedì ai sindacati.
Se dovesse fallire l’accordo scatterebbe la prova di forza del governo con l’amministrazione straordinaria. Questo significherebbe la nomina di un commissario e il probabile avvio di una lunga battaglia legale con Mittal, che verrebbe estromessa unilateralmente dal governo. Il decreto ex Ilva, licenziato dal Parlamento nel marzo del 2023, consente al governo di attivare la procedura di amministrazione straordinaria autonomamente. Stabilisce infatti, all’articolo 2, che l’ammissione immediata alla procedura possa avvenire su istanza del socio pubblico, detentore di almeno il 30% delle quote societarie, nel caso di imprese che gestiscono uno o più stabilimenti di interesse strategico nazionale non quotate.
“E’ una fase molto complicata dove possono essere rimesse in gioco diverse ipotesi ma quello che conta è che devono essere fatti investimenti rapidi e consistenti per scongiurare questo stallo pericoloso” dice il segretario genovese della Fiom Stefano Bonazzi che aggiunge: “Im questa fa il tempo non è più una variabile indipendente”.
A Genova i quasi mille dipendenti diretti oltre ai lavoratori dipendenti da Ilva in as restano in attesa. Nessuno sciopero al momento “a meno che non ci siano problemi sugli stipendi o non si verifichino incidenti gravi a causa della mancata manutenzione che denunciamo da anni – ricorda Palombo – in quel caso la fabbrica diventerebbe una polveriera“.