Genova. La priorità di Genova è l’acciaio. Anche per le aree di Cornigliano le altre porte “restano aperte”. È quello che ha detto ieri il sindaco Marco Bucci durante l’incontro a Roma col ministro del Made in Italy Adolfo Urso. Un messaggio chiaro ribadito durante la commemorazione di Guido Rossa nella sua fabbrica, cerimonia che cade in un momento cruciale per il futuro dell’azienda, in attesa di una soluzione per sopravvivere dopo l’uscita di scena di ArcelorMittal.
“Il governo sa in che direzione vuole andare e mi sembra che abbia le idee molto chiare – ha spiegato Bucci ai cronisti -. Io ho fatto presente al ministro quali sono le priorità per Genova: la fabbrica di Cornigliano ha avuto molti proprietari, ma il vero proprietario è la città di Genova che vuole la fabbrica e, soprattutto, vuole l’acciaio, perché lo vuole l’Italia. Cornigliano ha una posizione invidiabile che consente di diminuire i costi logistici, fare l’acciaio qui è un vantaggio per tutti. Noi vogliamo l’acciaio, vogliamo un piano industriale come si deve e vogliamo che ci siano occupazione e lavoro per il futuro. Questo è l’obiettivo primario. Poi, se ci sono anche altre possibilità le affronteremo, ma non si va da nessuna parte se non si costruisce l’acciaio qui e siamo d’accordo col ministro su questo”.
Il punto è sempre lo stesso: le aree dell’ex Ilva, oltre un milione di metri quadrati, danno lavoro a un numero troppo esiguo di persone rispetto allo spazio occupato. “La mia asticella è sempre quella dell’accordo di programma, c’erano 2.200 persone e noi vorremmo arrivare a quel livello. La situazione è difficile, il mondo è cambiato, ma la gente ha bisogno di lavorare lo stesso. L’accordo di programma non è stato rispettato da ArcelorMittal parecchie volte, quindi servirà un tavolo con il commissario per ridiscutere queste cose”. Quindi le alternative per ora sono congelate? Il sindaco non vuole sbilanciarsi: “È tutto valido e positivo, non vedo perché ci debbano essere aut aut. Le porte sono sempre aperte per tutti“.
E così anche la Fiom nazionale, dopo che la segreteria locale aveva aperto alla possibilità di rivedere l’accordo di programma purché si garantissero occupazione e reddito, mette in chiaro la strategia da seguire in un momento così delicato: “Condivido il fatto che si parta dal piano industriale – spiega il segretario nazionale Michele De Palma -. Se uno pensa di chiudere qua per fare altro, noi invece vogliamo tornare a implementare il ciclo della latta, che oggi ha seri problemi, e se ci fosse il funzionamento del carroponte avremmo elementi di produttività che oggi non sono garantiti. Per cui qualsiasi altro tipo di discussione uno la può aprire dopo che ha capito cosa fa l’azienda coi lavoratori che ci sono e con le aree interessate dalla produzione. Anticipare oggi significa creare una confusione che in questo momento non serve. Non è che la discussione può essere capovolta, non è accettabile. Diventa un elemento distorsivo della realtà. Stiamo ai fatti: c’è un tavolo alla presidenza del Consiglio dei ministri, siamo in una situazione delicata che può essere di svolta, servono le risorse per far funzionare questo stabilimento”.
De Palma rifiuta anche l’ipotesi – emersa in passato e poi accantonata – di una soluzione che renda la fabbrica di Genova indipendente da Taranto: “Il valore aggiunto bisogna impararlo dalle multinazionali in giro per il mondo. Le multinazionali orientali sono molto forti perché fanno dall’acciaio all’auto, invece in Italia abbiamo proceduto per spezzettamenti. Lo spezzettamento ha determinato il fatto che non c’è più un sistema in grado di reagire e offrire al mercato il necessario. In questo momento penso sia necessario tenere unita l’azienda per poter garantire l’acciaio che serve dopo per produrre la latta. Anzi, andrebbe implementata la produzione della latta vista la domanda che c’è in Italia. C’è un problema di mercato? No, siamo in una situazione in cui importiamo l’acciaio e la latta. Con un conflitto internazionale continuiamo a scegliere di dipendere da altrove anziché produrre all’interno del Paese?”.
“Oggi – ha aggiunto il segretario nazionale della Fiom – sarei voluto arrivare qui in una condizione completamente diversa, quella che noi dobbiamo perseguire, cioè tutti i lavoratori al lavoro, perché non si può andare avanti con gli ammortizzatori sociali e perché la priorità la messa in sicurezza dopo i danni prodotti dalla mancanza di investimenti sugli impianti, a partire dalla condizione di Genova. Per noi il punto fondamentale è sempre lo stesso: aspettiamo l’incontro alla presidenza del Consiglio dei ministri, che molto probabilmente sarà entro 8 giorni, per poter arrivare al dunque. E il dunque per noi è la salita pubblica. Ma la sensazione che ho, dalle dichiarazioni del sottosegretario Mantovano, è che si vada verso l’amministrazione straordinaria e i commissari. Il punto è avere risorse: le abbiamo chieste al ministro Giorgetti, ci sono stati assicurati 320 milioni, abbiamo detto che con 320 milioni non si risolve il problema del circolante che serve a fare la produzione. Il punto è comprendere le risorse pubbliche che saranno messe a disposizione, e lo dico per gli italiani: non sono risorse che non generano valore. Tenere i lavoratori in cassa integrazione e non investire sugli impianti significa generare debito per la collettività. Noi vogliamo che le risorse vengano messe per rilanciare la produzione, l’ambientalizzazione, la salute e la sicurezza delle persone”.
“Il Governo agisca in fretta sull’affermare la governance pubblica a salvaguardia della tutela occupazionale e della produzione. Lo stabilimento di Cornigliano deve avere un ruolo centrale nella vertenza di Acciaierie d’Italia e nel piano di rilancio della siderurgia nel nostro paese. Genova non può perdere questa sfida”, aggiunge Paola Bavoso, segretaria regionale della Cisl Liguria.
“Si chiede al governo di imboccare un percorso che finalmente dia un futuro certo a questo stabilimento, a tutti gli stabilimenti Ilva e a una delle principali fabbriche di quell’acciaio che ha reso grande il nostro Paese, lo ha reso una potenza industriale e nel mondo e che deve continuare a essere prodotto in questo Paese a supporto di tutta la manifattura italiana, che resta la seconda d’Europa – commenta il presidente ligure Giovanni Toti -. Che si sia finalmente chiarito il rapporto con Mittal, sia pure in modo negativo, apre oggi lo spazio per lo Stato per una transizione che veda lo Stato riappropriarsi di questa fabbrica e trovare un nuovo socio industriale in grado di fornire il know-how e i mercati che servono per andare avanti. L’Italia non deve rinunciare all’acciaio: il Covid ci ha insegnato che alcune produzioni devono restare saldamente nel territorio nazionale per averne ovviamente il controllo a supporto della nostra filiera industriale, ovviamente questa è una di quelle produzioni”.
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